Non profit

Ici/Imu per il non profit. I giorni da brivido delle scuole paritarie

di Gabriella Meroni

Alla fine, il governo ha preferito guadagnare 600 milioni per non perdere 6 miliardi. Una scelta saggia (per usare un eufemismo) che però ha rischiato fino all’ultimo di svanire sotto quelle che lo stesso premier ha bollato come «visioni ideologiche». Spieghiamo. I 600 milioni che il governo ha guadagnato ? o spera di guadagnare ? sono pari, secondo l’Anci, al gettito stimato dell’Imu “nuova versione” decisa da Monti. I 6 miliardi che lo stesso governo ha rischiato di perdere sarebbero stati quelli che le scuole paritarie in Italia consentono di risparmiare allo Stato. Ogni allievo che frequenta una primaria non statale costa alla collettività 610 euro e alle superiori appena 60 euro, contro i 6.351 e i 6.888 euro (dalla materna alle superiori) del costo di un alunno alle statali. Se l’Imu avesse colpito gli istituti scolastici non statali non profit, facendoli chiudere, quei costi sarebbero rimasti in carico alla collettività, con gli effetti nefasti che si possono immaginare.

Il rischio
Fino a lunedì 27 febbraio, il rischio paventato da tutte le scuole paritarie (soprattutto cattoliche, ma non solo) era proprio quello di essere sottoposte al pagamento dell’Imu. Il decreto Liberalizzazioni infatti prevedeva di esonerare dall’imposta esclusivamente le attività di natura non commerciale, e di farla pagare invece a quelle realtà che la svolgono (anche solo in parte); senza specificare che la scuola paritaria, al pari di quella statale e di quella comunale, non svolge attività commerciale ai fini fiscali, il pericolo era che anche questa importante fetta dell’istruzione italiana venisse tassata. Un timore rafforzato da un’uscita del ministro Andrea Riccardi, che a un convegno romano aveva detto che «far pagare l’Imu non solo alla Chiesa ma anche a tutte le attività commerciali del mondo non profit, scuole comprese, è giusto e lo condivido in pieno». «L’Imu ci obbliga alla chiusura», aveva dichiarato tra gli altri il segretario nazionale Salesiani scuola, don Alberto Zanini. E in una dura nota la Foe, la federazione di opere educative della CdO, aveva sottolineato che la norma metteva «in ginocchio un settore già duramente provato dalle attuali ristrettezze economiche, penalizzando conseguentemente tutte le famiglie e gli alunni che si avvalgono del prezioso servizio pubblico da esso offerto».

La pezza
Evidentemente, no. Deve averlo ben capito il professor Monti, che nella stessa giornata del 27 si è affrettato a spiegare, in commissione Industria del Senato, che le scuole paritarie erano escluse dall’Imu. E per ribadire il concetto, ha presentato un emendamento del governo che chiarisce la questione, precisando che l’esenzione riguarda gli enti non commerciali che operano nel settore didattico (tra gli altri) «con modalità non commerciali». «L’attività paritaria sarà valutata positivamente se il servizio è assimilabile a quello pubblico», ha detto ancora Monti, «in materia di programmi, accoglienza degli alunni con disabilità, applicazione dei contratti e servizio aperto a tutti i cittadini o con selezione con norme non discriminatorie». Per beneficiare dell’agevolazione, inoltre, l’istituto scolastico dovrà pubblicare «il bilancio e le caratteristiche della struttura, tale da preservare senza dubbi la finalità non lucrativa. Eventuali avanzi non devono rappresentare profitto ma un sostegno destinato alla gestione delle attività didattiche». «Finalmente hanno capito che le rette servono a pagare gli insegnanti e a far funzionare la scuola, mica a comprarci i suv o gli yacht», tira un sospiro di sollievo don Alberto Zanini dei salesiani. «I 3.300 euro che chiediamo alle famiglie degli allievi ci bastano appena per andare avanti, altro che utili. Noi siamo religiosi, abbiamo il voto di povertà. Se avessi due soldi in più sa cosa farei? Mi prenderei dei bidelli, visto che per risparmiare le pulizie ce le facciamo noi».

La “ratio”
«Il governo ha introdotto un passaggio epocale», commenta la presidente di CdO Opere sociali, Monica Poletto, «fissando il principio secondo il quale non paga l’Imu solo chi non realizza nessuna attività commerciale. Nessuna, di nessun tipo, nemmeno marginale. Questo è il primo punto importante. Ma non è l’unico da sottolineare», prosegue, «perché occorre fare attenzione e distinguere bene commerciale da lucrativo». La differenza, spiega Poletto, è sostanziale anche se trascurata nel dibattito di questi giorni: «Le scuole, come tanti altri enti non profit, non fanno lucro, ma si spera che producano comunque un utile. È assurdo dire, come ho sentito e letto, che per essere esenti bisogna avere il bilancio in pareggio. Ma cosa significa? Questo la nuova versione della norma correttamente non lo dice, ma lo pensano in molti». Forse per questo si è rischiato di far pagare l’Imu a più soggetti del dovuto, diciamo noi. Ma Monica Poletto evidenzia un altro aspetto. «Oltre all’assenza di lucro, l’altro elemento che giustifica l’esenzione è il concetto di servizio pubblico. Ci sono enti che realizzano attività di pubblica utilità rivolte a tutti, che se fossero a carico dello Stato graverebbero enormemente sui conti pubblici. Forse questo aspetto andrebbe chiarito in sede di interpretazione, per non penalizzare alcune realtà che, pur essendo enti commerciali, realizzano di fatto un servizio pubblico. Prendiamo le cooperative sociali. Siamo sicuri che debbano pagare l’Imu, anche se magari danno lavoro a disabili assolvendo a una grande funzione sociale?».


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