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I vescovi brasiliani: «Il governo difende gli interessi di una “economia che uccide”»
In Brasile 152 Vescovi scrivono una lettera sulle conseguenze che sta avendo il Covid19 e sugli effetti delle politiche messe in atto dal governo Bolsonaro. «L’incapacità e la debolezza del governo federale di affrontare queste crisi è chiara», si legge nel documento. «L’attuale governo non pone al centro la persona umana ed il bene di tutti». Al testo dei Vescovi ha fatto seguito una lettera di sostegno firmata da più di mille sacerdoti
Se nessuno si è ancora reso conto della situazione del Brasile, sulle conseguenze che sta avendo il Covid19 e sugli effetti delle politiche messe in atto dal governo Bolsonaro arriva un documento di 152 Vescovi (tra cui il cardinale Cláudio Hummes) della Conferenza Episcopale Brasiliana, appartenenti a tutte le diocesi del Brasile che in 16 punti mettono nero su bianco la tempesta che sta attraversando il Paese. «Abbiamo scritto questa Lettera a causa della gravità del momento in cui viviamo […] come un servizio a tutti coloro che desiderano vedere superata questa fase di così tante incertezze e tanta sofferenza».
Il Brasile, scrivono i Vescovi, «attraversa uno dei periodi più difficili della sua storia, uguale ad una “tempesta perfetta” che, dolorosamente, deve essere attraversata. La causa di questa tempesta è la combinazione di una crisi sanitaria senza precedenti, con un crollo schiacciante dell’economia e la tensione che ha colpito le fondamenta della Repubblica, causata in larga misura dal presidente della Repubblica e da altri settori della società, con conseguente profonda crisi politica e di governabilità. […] Sono le scelte politiche che ci hanno portato fin qui […]. L’incapacità e la debolezza del governo federale di affrontare queste crisi è chiara. Le riforme del lavoro e della sicurezza sociale […] hanno reso ancora più precaria la vita delle persone, hanno peggiorato la vita dei poveri».
Sui problemi legati all’economia i Vescovi sostengono che «l’attuale governo non pone al centro la persona umana ed il bene di tutti, ma difende con intransigenza gli interessi di una “economia che uccide”. Un’economia che pratica il neoliberismo, che favorisce il monopolio di piccoli gruppi potenti a scapito della stragrande maggioranza della popolazione», la disoccupazione potrebbe raggiungere i 20 milioni di persone. Preoccupa l’indebolimento delle leggi sull’uso delle armi, ma anche il disprezzo per l’istruzione, la cultura, la salute e la diplomazia: il considerare «l’educazione come nemico». Addirittura sostengono che nel Piano di emergenza per la lotta contro il Covid-19, sia stato proibito, nei territori indigeni, afro e comunità tradizionali, l’accesso all’acqua potabile, al materiale igienico, così come la fornitura di letti ospedalieri e di terapia intensiva, di ventilatori e di macchine per l’ossigenazione del sangue.
I Vescovi lamentano che «perfino la religione è usata per manipolare sentimenti e credenze, provocare divisioni, diffondere odio, creare tensioni tra le Chiese e i loro dirigenti. […] Siamo indignati per l’uso del nome di Dio e della sua Santa Parola, mescolati con discorsi pregiudizievoli, che incitano all’odio». È invece necessario essere uniti e rispettare la pluralità. «Per questo motivo, proponiamo un ampio dialogo nazionale che coinvolga umanisti, persone impegnate nella democrazia, movimenti sociali, uomini e donne di buona volontà, in modo da ripristinare il rispetto della Costituzione federale e dello Stato di diritto democratico, con l’etica nella politica, con trasparenza delle informazioni e della spesa pubblica, con un’economia che miri al bene comune, con giustizia socio-ambientale, con “terra, casa e lavoro“, con gioia e protezione della famiglia, con un’istruzione e una salute complete e di qualità per tutti. Pertanto, svegliamoci dal sonno che ci immobilizza e ci rende semplici spettatori della realtà di migliaia di morti e della violenza che ci affligge».
Alla lettera dei Vescovi ha fatto seguito una lettera di sostegno firmata da più di mille sacerdoti di tutto il Brasile intitolata “Camminiamo sulla strada di Gesù”. I sacerdoti oltre a sostenere i Vescovi firmatari spiegano la coerenza della lettera con le posizioni della Conferenza Episcopale e ribadiscono la preoccupazione per «la vita delle persone minacciate dalla pandemia, le loro sofferenze, specialmente quelle dei poveri, vulnerabili e delle minoranze. Una tale realtà brucia i nostri cuori, le nostre braccia combattono e la nostra voce urla per i cambiamenti necessari».
Confermano le responsabilità del governo «che non pone al centro la persona umana e il bene di tutti, ma la difesa intransigente degli interessi del mercato e del profitto». Con una specifica attenzione ai territori indigeni e alle comunità quilombola per le quali il governo ha imposto ben 16 veti al Piano di emergenza per affrontare Covid-19 in questi territori. Di fronte alla tragedia in atto il silenzio avrebbe rischiato di essere una complice omissione.
«Da anni, secondo padre Dario Bossi (Missionario Comboniano), non emergeva un pensiero così lucido e coraggioso. Costruito con un discernimento attento e collettivo». Il problema è la sequenza dei fatti che hanno portato ad un’uscita imprevista. «La lettera, continua padre Dario, era costruita per essere pubblicata il 22 luglio, è stata inviata alla Presidenza della Conferenza Episcopale per conoscenza, che a sua volta aveva indicato l’opportunità di farne un’assunzione collegiale il 5 agosto in occasione del Consiglio Permanente. Tuttavia, la lettera è stata resa pubblica in anticipo (senza attendere il Consiglio Permanente), non si sa se da parte di qualche Vescovo firmatario preoccupato che la discussione tra tutti i Vescovi avrebbe potuto ridimensionarne i contenuti, oppure da chi ha inteso affossarla mettendo in evidenza che si tratta solo dell’opinione di chi l’ha firmata. È comunque irreale pensare che i Vescovi abbiano una visione uniforme: non possono che riflettere le frammentazioni in atto nella società brasiliana».
Fatto sta che la situazione del Brasile è «veramente difficile -racconta padre Simone Bernardi, sacerdote del Sermig (Servizio Missionario Giovani) dell’Arsenale della Speranza di San Paolo. Noi siamo stati in quarantena per 96 giorni con 1.200 ospiti (persone senza fissa dimora, immigrati e rifugiati) a cui abbiamo spiegato tutti gli effetti della pandemia, chi voleva poteva restare dentro, ma non uscire. Il governo, come spiegano i Vescovi, non è stato assolutamente all’altezza della situazione. Ancora oggi dopo mesi non c’è un ministro della sanità e ogni giorno ci sono 50 mila nuovi contagi e muoiono quotidianamente di Covid 1.200 persone. Tuttavia, prosegue Bernardi, la lettera dei Vescovi potrebbe rischiare creare un ulteriore polarizzazione perché il gioco politico di questo potere è dividere e i toni espressi nella lettera possono trascinare i Vescovi in una frattura complicata. Noi continuiamo a camminare perché solo camminando si apre il cammino».
Credit foto: Luca Meola
Nella foto di apertura Padre Simone Bernardi e Lorenzo Nacheli
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