Lo schiaffo elettorale era annunciato. Ma quando la sera del 22 aprile i media francesi hanno reso pubblici i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali, i Verdi hanno visto evaporare in modo definitivo la speranza di sorprendere il mondo. I responsabili del partito ecologista dovranno riflettere, e non poco, sul perché la loro candidata Eva Joly abbia raccolto appena il 2,3% dei consensi. Eppure, dopo gli ottimi risultati ottenuti dai Europe Ecologie Les Verts (Eelv) nelle ultime elezioni regionali del 2010 (12,2%) ed europee del 2009 (addirittura 16,28%), la base sperava in un destino diverso.
I sogni di grandezza si sono infranti con le primarie organizzate a porte chiuse. Contrariamente ai socialisti, che hanno invitato tutti i cittadini francesi a partecipare all’elezione del loro candidato, i Verdi hanno deciso di limitare la partecipazione agli aderenti del partito. La maggioranza aveva detto no al carismatico Nicolas Hulot per la sua attiva partecipazione ai negoziati sull’ambiente condotti da Sarkozy e per la sua eccessiva apertura al mondo delle multinazionali. Risultato: hanno scelto un ex super-giudice nota per la sua lotta implacabile contro la corruzione. Certo, Eva Joly era stata eletta nel 2009 al parlamento Ue, ma durante la sua campagna elettorale per le presidenziali i media hanno raccontato una candidata più attenta a denunciare gli affari sporchi del presidente uscente che a promuovere il suo “core business”. La stessa Joly ha ammesso dopo la sconfitta che «in un periodo di crisi l’ecologia non è un tema facile. E forse nemmeno io ero una cadidata facile». Per vincere, o almeno convincere, i Verdi avrebbero dovuto forse prendere l’esempio dell’estrema destra francese: scegliere un leader carismatico e in apparenza moderato, ma che in realtà rimane implacabile sui suoi temi di elezione.
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