Famiglia

“I Trionfi” di Testori, ovvero che odore ha il teatro?

In scena al "Fontana" di Milano fino a domenica 25 aprile "I Trionfi" di Giovanni Testori, nel riadattamento di Antonio Latella e l'interpretazione di Daniele Nigrelli. Una recensione

di Davide Dall'Ombra

Lo spettacolo mi era noto nelle sue linee essenziali: il monologo di un bravo attore, naturalmente nudo dall?inizio alla fine, visto che la regia era del provocatorio Latella, un poema drammatico e bellissimo, I trionfi, scritto da Testori nel ?65… Ma per fortuna il teatro è ancora qualcosa in più di un racconto. E allora invita quell?amico che sai che non si scandalizza, esci sotto la pioggia dal lavoro e trova un parcheggio in una di quelle tremende viette. All?ingresso, una maschera ti scorta lungo la platea e ti invita a sederti ?dove desiderate? su un paio di quelle quaranta sedie disposte ad anfiteatro sul palco illuminato di rosso. Al centro c?è già tutto. Il corpo di Danilo Nigrelli è disteso su un fianco, dormiente, su un materasso quadrato, bordato da una cornice dorata; attorno, almeno due voci diverse e fuori sincro lasciano cadere frasi su fede, sesso e chisiricordacosa. Io, a piedi e schiena, preferisco il volto e mi siedo. Siamo una ventina, lo spazio non è molto e una maschera ci chiude dentro, trascinando pesanti pannelli metallici a creare la quarta parete. La flebile luce bianca sul corpo si fa man mano un po? più forte, il fruscio dei discorsi registrati continua ma, prima di diventare rumore bianco, si smorza nei primi lamenti dell?attore: qualche suono, piccoli movimenti e il corpo prende vita autoplasmato. Inizia una maratona corporea, in cui il corpo di Nigrelli si contorce, salta, si rigira, si dimena, si alza a stento ma per ricadere subito sul materasso… Passano allora, nelle associazioni della mente, disegni di nudi di Michelangelo, le deformazioni corporee di Bacon, quelle facciali di Rainer, le deformazioni e basta… e, intanto, versi scelti dei Trionfi escono, sospinti dai movimenti del corpo, addosso allo spettatore. Non bastasse, l?ambiente piccolo, le continue contorsioni e le luci rosse, a creare una diffusa angoscia di claustrofobia, ti invade, crescente, la puzza del sudore di quell?animale incatenato che si agitava al centro e, allora, parole e movimenti si fanno un ron ron indistinto a cui ti abitui come su un cammello. È quando non fai più caso a nulla che ti rendi conto che sta per finire, una grande croce luminosa prende il posto di Nigrelli sul materasso e lui, apprendo il sipario-saracinesca, si dirige in un?uscita troppo kubrickiana per non farti sorridere. È finita. Nigrelli torna sul palco con tuta da meccanico bianca e passo comico, giusto in tempo per raccogliere gli applausi del suo pubblico. Tutto è bene ciò che finisce bene, verrebbe da dire. E il testo? E chi se lo ricorda? Alcuni passaggi sull?amato, sulla madre, sul padre, sulla nascita: ognuno porta a casa il suo passaggio preferito, l?idea di un bel testo, potente, ma la sensazione man mano che passano i giorni, è che, ultimamente, non sia successo niente. Allora cominci a chiederti che ne è stato dell?unico teatro che ammetteva Testori, quello che nasce e muore nella parola. A questo spettacolo, che sarebbe stato d?avanguardia 30 anni fa, invece, è bastato quel puzzo di sudore per ricordarci che non abbiamo passato la sera svaccati sulla poltrona del salotto? Forse. Ma anche qui la corda che suona è solo quella dei rimandi: non più pittorici ma alla vita di ognuno, a quella notte, a quel momento dell?amore in cui il cedere totale di sé ha fatto provare quell?odore… perfino desiderabile.

  • Teatro Sala Fontana, Milano

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