Formazione

I tabelloni? Quasi una gogna

Sotto accusa l’esposizione dei voti a scuole chiuse. "Se è un castigo, sia celebrato con gli adulti" dice l’esperto. Intervista a Gustavo Pietropolli Charmet.

di Benedetta Verrini

“Attaccare i tabelloni fuori dalla porta della scuola senza alcun professore presente è assurdo. Se la bocciatura è un castigo, che sia celebrato con gli adulti. Che diventi un momento in cui didattica ed educazione si incrociano e consentono di crescere”. Gustavo Pietropolli Charmet conosce bene la ?stagione critica? dei suicidi giovanili legata alla chiusura dell?anno scolastico. E punta il dito contro gli automatismi istituzionali della scuola, come la temuta ?uscita dei quadri?, che enfatizzano la vergogna e la solitudine dei ragazzi. Psichiatra e direttore scientifico de L?Amico Charly, il professor Charmet dirige l?équipe del Crisis center aperto dall?associazione milanese per seguire tutte le forme di autolesionismo dei giovani, dall?anoressia fino al suicidio. Vita: Perché il fallimento scolastico è un fattore critico per il suicidio giovanile, professore? Gustavo Pietropolli Charmet: Perché rappresenta un ?affronto narcisistico?. I ragazzi temono di diventare impresentabili agli occhi dei genitori, del gruppo di amici, dei fidanzati. È una mortificazione pubblica che nella nostra ?società del successo?, dove ognuno deve essere bello e vincente, non è tollerabile. Per questo, nei soggetti più fragili, la semplice fantasia del suicidio diventa un vero e proprio progetto suicidale, che si traduce in una decisione: “Non voglio essere lì quando succederà”. Vita: Cioè lì davanti ai tabelloni… Charmet: Esattamente. Ritengo che questo sistema andrebbe cambiato. Se la bocciatura, come dicevo, è tra i castighi più severi e solenni, allora è giusto che venga inflitta con l?accompagnamento degli adulti, attraverso la convocazione della famiglia e del ragazzo, e il confronto con gli insegnanti che spiegano il motivo di questa punizione. Vita: Scusi, ma non è la stessa cosa? Charmet: No, anzi, in questo modo la bocciatura potrebbe recuperare la valenza che aveva in passato. Sarebbe temuta per il castigo familiare e per il senso di colpa di non essere stati degli studenti diligenti. E non sarebbe più, come oggi, una mortificazione pubblica, vissuta in solitudine. Infatti, per i ragazzi di oggi il fatto di essere cattivi studenti non significa un bel nulla, non è un motivo di seria frustrazione. Il vero insulto è la mortificazione del sé: il trauma di essere svergognati e messi a nudo perfora tutte le barriere. Non riescono ad assorbire, insomma, l?idea di non ?valere? in una società che su di loro ha aspettative elevatissime ma non sa accompagnarli.


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