Non profit
I soldi arrivano quando si ha coraggio
Come si finanzia il terzo settore, nella rivoluzione del welfare.
Cambia il non profit e, quindi, devono cambiare anche le fonti di approvvigionamento finanziario. Oggi c?è troppa confusione, improvvisazione, assenza di coordinamento. Ancora troppo di frequente, l?unica forma di raccolta fondi continua ad essere il cappello in mano. Fondi, cioè, ?elemosinati? dai privati per iniziative spot, senza una vera progettualità. Oppure ottenuti pagando, però, l?alto prezzo di una dipendenza dal pubblico fin troppo eccessiva. Quanto al coinvolgimento delle imprese, questo scarseggia. Eccome. Basti pensare che tutte le fondazioni d?impresa operanti in Italia erogano un decimo di quanto fa da sola la Fondazione Cariplo.
Affonda il dito nella piaga ma, al contempo, propone valide vie di ?riscatto?, la ricerca Il finanziamento degli enti non profit (edizioni Il Sole 24-Ore) promossa dalla Fondazione Ambrosianeum, che viene presentata giovedì 19 maggio a Milano. Uno studio che, tra l?altro, analizza e ?reinterpreta? in modo puntuale i dati del censimento Istat del 2001 sulle istituzioni non profit relativi, appunto, al finanziamento degli enti. E che mira a sottolineare con forza la necessità di una svolta: o si cambia oppure il terzo settore si avvierà verso un inesorabile declino. Già, ma come se ne esce?
«Non avendo paura di guardare al futuro» risponde Adriano Propersi, curatore dello studio, «trasformando le incertezze attuali in opportunità. È arrivato il momento che il mondo della finanza cominci a guardare al non profit in un ottica meno episodica, proponendo prodotti ad hoc, sapendolo affiancare nelle diverse fasi della sua crescita. Il terzo settore, a sua volta, dovrebbe affrettarsi a promuovere la nascita di consorzi fidi che consentano di aumentare il proprio potere contrattuale nei confronti delle banche. Non dimentichiamoci, poi, dell?importanza che riveste il saper mantenere un buon rapporto con il donatore, incentrato sulla massima trasparenza». E il pubblico?
«Rimane fondamentale», afferma Propersi, «è impensabile una corretta applicazione del principio di sussidiarietà senza il ruolo di coordinamento svolto dal pubblico, soprattutto per ciò che concerne il finanziamento delle organizzazioni che operano nel settore socio-sanitario».
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