Comitato editoriale

I siriani credono in un Paese presto libero, aiutiamoli

"Siamo tra gli sfollati interni nei distretti di Aleppo e Idleb a distribuire kit di viveri e aiutarli a concentrarsi nella ricerca di lavoro in zone poco colpite dai bombardamenti", spiega il project coordinator di AiBi in Siria, Hussein Almussa. "Le persone sono stanche e non di fidano della tregua. Noi cooperanti dobbiamo stare al loro fianco soprattutto ora"

di Daniele Biella

Siria, dintorni di Aleppo e Idleb. “Prima del nostro intervento e di quello delle altre organizzazioni, gli sfollati arrivavano in queste aree con l’obiettivo di passare il confine turco e cercare di percorrere la via verso l’Europa. Ma ora, anche grazie al nostro impegno, hanno la possibilità di rimanere nella propria terra, che tanto amano”. Arrivano dal cuore del conflitto siriano le parole di speranza di Hussein Almussa, Project coordinator di associazione AiBi Amici dei bambini. L’ente italiano ha in quelle zone, tra Termanin (distretto di Idleb) e Atareb (distretto di Aleppo) un progetto che permette la distribuzione di 17.460 kit composti da Ready to eat rations, cibo in scatola pronto da mangiare, facile da trasportare e conservare.

Qual è la situazione nelle due città? Regge l’accordo di tregua a cui sono arrivate le parti in causa la scorsa settimana?
Termanin è una città che offre un riparo piuttosto sicuro. La zona, dall’inizio dell’anno è stata colpita ‘solamente’ tre o quattro volte da raid aerei, questo perché non c’è una forte presenza di gruppi armati ribelli. Anche per quanto riguarda Atareb la situazione rimane relativamente tranquilla e sicura per i nostri beneficiari e le loro famiglie. Il motivo principale che ha spinto tanti sfollati a raggiungere queste zone è stato sicuramente la possibilità di cercare un lavoro, anche solo provvisorio, e di ricominciare una nuova vita con i propri cari. Il Local Council della zona – ente di riferimento per le varie attività che si svolgono nell’area – punta molto sul coinvolgimento dei civili, piuttosto che dei militari, per mantenere vivo e attivo il mercato locale. Visto l’alto afflusso di persone sfollate nell’area, il supporto di AiBi diventa fondamentale per evitare che i mercati locali si trovino presto privi di risorse e incapaci di far fronte al fabbisogno di tutti. Nello stesso tempo, la distribuzione dei kit permette alle famiglie di non dovere andare a cercare cibo, potendosi così concentrarsi sulla ricerca di un lavoro ed eventualmente un’altra abitazione. Per quanto riguarda la tregua, sono un po’ scettico: fino a oggi sembra reggere anche se parecchi attacchi continuano e molti innocenti rimangono vittime della loro ferocia (148 civili morti negli ultimi 23 giorni in Siria, inclusi 67 bambini, secondo le stime del Osservatorio Siriano per i Diritti Umani): la gente, stanca e consumata dal conflitto, non crede che questa situazione possa perdurare a lungo.

Quali sono i bisogni principali della popolazione?
Le persone non hanno solo bisogno di cibo, acqua e cure mediche ma anche di protezione e sicurezza, oltre che di maggiore stabilità. I siriani non possono essere lasciati soli e non possono sentirsi abbandonati. Un’intera generazione di bambini non conosce altro che guerra, distruzione e paura. I bambini non sanno come si gioca. Il nostro lavoro è fondamentale per aiutare le persone a costruire la propria resilienza, ma anche per rafforzare le loro capacità e abilità in modo che possano ricostruire il proprio paese una volta che la guerra sarà finalmente finita. I siriani sono un popolo di persone intelligenti, sveglie e con voglia di fare, il nostro compito ora è quello di formarle per tornare a credere in sé stesse: dobbiamo dare loro le risorse e maggiore stabilità affinché chi è rimasto possa contribuire nella rinascita di un paese, il loro paese.

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In che condizioni di sicurezza lavorano gli operatori umanitari in Siria?
Il nostro lavoro è diventato una priorità qui in Siria. Sappiamo che è pericoloso, ma è indispensabile. È qualcosa che tutti possono fare ma che solo alcuni decidono di portare avanti. Non possiamo lasciare che le persone si sentano abbandonate. Amiamo la nostra terra, le nostre radici sono qua e anche il nostro cuore. Chi lavora in questo ambito conosce i rischi e i pericoli, ma abbiamo un animo altruista che ci spinge a dedicarci al prossimo. Gli operatori umanitari dedicano la propria vita per il futuro degli altri e della Siria stessa: sappiamo di avere tante qualità e questa è un’ottima opportunità per dimostrarlo a tutti e soprattutto ai siriani, sia a chi è ancora qua, sia a chi ha deciso di partire per cercare una vita più tranquilla e sicura. Speriamo che i nostri risultati possano convincere i molti che se ne sono andati a tornare per unirsi al nostro lavoro e contribuire a lavorare per costruire una Siria basata sulla pace.

Qual è il grado di fiducia dei siriani verso le autorità nazionali e internazionali? Chi temono di più oggi tra le fazioni in guerra?
Visti i fallimenti delle trattive precedenti in pochi credono che la tregua possa sfociare nella pace. Nonostante questo, molti siriani sono disposti a nascondersi sottoterra e a vivere dentro le montagne per cercare di sopravvivere per poter vedere una Siria libera. La questione non è di chi abbiamo paura, la questione è garantire un futuro di pace ai nostri bambini siriani nella nostra terra. Per quanto riguarda noi cooperanti, seguiamo uno dei principi base che regolano l'intervento umanitario, ovvero il non schierarsi politicamente per uno dei contendenti e non prendere posizioni politiche.

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