Famiglia

I servizi all’infanzia? Una scommessa in rosa

«Nidi e asili non rappresentano un diritto solo per i bambini», spiega Claudia Fiaschi, «ma anche per le donne».

di Carlotta Jesi

Il nido? Non è solo culla per bambini. è culla anche per un?idea compiuta di cooperazione. Il ragionamento e l?esperienza di Claudia Fiaschi, vicepresidente di Cgm, madre di due bambini, una vita dedicata a tessere reti sociali, corrono lineari. Dice: i servizi all?infanzia sono occasioni di crescita per i bambini, spazi dove bimbi e famiglie possono integrarsi nel territorio. Ma soprattutto i nidi sono figli di un?imprenditorialità femminile, che nasce da un bisogno delle donne e decolla sulle ali di una sensibilità imprenditoriale da valorizzare.

«Molti dei nostri nidi», racconta, «nascono da piccole associazioni di mamme che avevano fatto l?esperienza di provare a farsi una struttura da sé e poi si sono rimesse in gioco nella cooperativa in un?ottica di continuità, di un servizio in grado di assumersi responsabilità più serie verso i bambini e le persone che ci lavorano». Il nido come un incubatore di esperienza. «Credo che seguendo questa traiettoria le donne debbano spendersi per giocarsi su alcuni bisogni che oggi sono tenuti ai margini. Uno su tutti: il sostegno alle donne che lavorano. Al Sud succede che le donne non cerchino neanche più lavoro, non si iscrivano alle liste di collocamento. In genere quando si fa questo ragionamento si dice: la donna che non lavora non produce contributi pensionistici. La questione invece è un?altra: culturalmente il rimanere a casa non coincide più con le aspirazioni di una donna giovane in nessuna regione d?Italia, neanche al Sud».

Ma non è solo una questione di volontà, è una questione di opportunità? «Sì, ma sulle opportunità non si devono seguire logiche schematiche o passive. Si deve prendere iniziativa. Perché la preoccupazione per persone che a 30 anni già rinunciano a una loro ispirazione deve generare idee, coinvolgimento. Il pessimismo verso il futuro prelude solo a un disastro socio-culturale ed economico. La mia conclusione? Semplice. I servizi come gli asili nido sono un diritto per i bambini, ma lo sono anche per le donne, perché è chiaro che dove non ci sono è molto dura e quasi da nessuna parte ci sono ormai reti parentali in grado di farsi carico di questo. Se pensiamo poi al mondo dell?immigrazione, con i livelli di coinvolgimento delle donne nel lavoro, si può capire come siano essenziali le reti sociali in grado di organizzare servizi per i bambini».

Ma il punto di vista di Claudia Fiaschi non s?accontenta di un buon utilitarismo e di razionalizzazione dei bisogni e di relative risposte. Il punto di rottura di questa logica è sempre rappresentato dalla presenza femminile. «Questa dei servizi dovrebbe essere una battaglia che le donne del non profit fanno propria. In più vedo la battaglia su una formazione diversa. Ci vorrebbe un modello di formazione dei manager del non profit che privilegi una dinamica non competitiva ma cooperativa. Noi per ora sul piano formativo continuiamo a usare i modelli profit, a immaginare che i manager del non profit debbano avere le stesse caratteristiche non solo come competenze tecniche ma anche come approccio direzionale. Io penso che questa prospettiva non sia utile né per le donne né per gli uomini. Un cambiamento consentirebbe stili di vita più sostenibili».

Faccia un esempio? «L?accuratezza davanti ai particolari: la sovrabbondanza di stimoli tende a farci gestire le cose come adempimenti che demotivano e stressano. Mentre una buona formazione ci deve indurre a curiosare nelle cose, a cercare di capirle. Ma questo è terreno che soprattutto una donna può comprendere e incrementare».

Perché un uomo no? «Perché fa prevalere istintivamente un?ottica manageriale. Le faccio un esempio: quando decidiamo qualcosa, ad esempio quando facciamo uno spin-off di una coop o di un consorzio, se lavoriamo solo sulla figura del presidente, sbagliamo. Si deve lavorare sempre sul gruppo, innanzitutto per costruirlo, con attenzione all?equilibrio di presenze di uomini e donne, integrando le caratteristiche delle persone in modo che poi il motore della cooperativa funzioni».

Ed è così che si spiega come il dinamismo che porta ad aprire un nido può diventare il dinamismo che rende più forte e condivisa la cultura della cooperazione?

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