Formazione
I residui degli anni 80
Un film sullAids, omaggio del regista a chi non cè più
I testimoni sono coloro che restano. Cioè siamo noi spettatori, alcuni dei quali negli anni 80 – all?esplodere dell?Aids – già c?erano. Si rivolge dunque direttamente al pubblico André Téchiné, per chiedergli una partecipazione che sa anche di distacco, ma soprattutto di ricordo, di volontà di non mettere fra parentesi i giorni inquieti e drammatici di quella scoperta. Già, i primi anni 80 che erano degli yuppies (ve la ricordate questa parola, un po? moralistica e tuttavia non sciocca?), del riflusso e poi, da un certo momento in poi, dell?Aids.
Anni verso i quali ogni malinconia pare inutile, ai quali si può forse ormai guardare come a un periodo storico alle nostre spalle. Ed è appunto quello che fa il regista. Immagina personaggi un po? tipici e un po? no (scegliete voi tra il giovane omosessuale inurbato, la scrittrice di fiabe, suo marito poliziotto e bisessuale, il medico parigino anch?egli gay). Li dispone nella scacchiera, questa sì abbastanza imprevedibile, e li abbandona a se stessi, alle loro emozioni, ai desideri, ai paradossi. Quel che conterà (ed è il lato più interessante del film) non saranno tanto le scelte quanto le situazioni, i singoli flussi, il fluido che emerge dall?alchimia dei rapporti umani.
Fin qui la parte come si dice positiva. Venendo ai difetti, segnalerei l?altro lato della stessa medaglia e cioè il fatto che lasciati così liberi i personaggi attribuiscono al film parecchie direzioni. Forse troppe. La maternità rifiutata della scrittrice, che si mette i tappi per non sentire i pianti del bebè. L?ansia di rivalsa del marito, poliziotto di origine nordafricane cui piace il potere anche quando lo usa per il suo protetto. L?innocenza di Manu, il ragazzino tanto candido quanto sconcertante, desideroso di vivere e perciò, ovviamente, il primo ad ammalarsi. Perché siamo in pieno melodramma, soprattutto nella seconda parte: quella della decadenza, della morte.
Finale previsto fin dalla prima inquadratura e risolto nel rispetto dell?iconografia ormai tradizionale. Alla quale di suo Téchiné aggiunge un epilogo che introduce un altro, non ben affrontato tema: quello della scrittrice che ?cannibalizza? le sue esperienze usando la letteratura. Quadratura di un cerchio, verrebbe da dire.
Ultimissima nota, che riguarda gli interpreti: molto bravi tutti tranne la diva, Emmanuelle Béart, che gioca a fare l?icona senza avere speranza alcuna, soprattutto a causa di labbra ormai rotonde rotonde, pochissimo anni 80, molto ma molto a canotto?
I testimoni
di André Téchiné
Francia 2007
con Emmanuelle Béart
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