Verso le Olimpiadi 2026
I ragazzi di Cortina: gli attivisti contro la pista di Bob convincono Zaia?
A Cortina la nuova pista è diventata il simbolo di un modello di sviluppo della montagna non più sostenibile. Fino a che punto le Dolomiti Patrimonio dell'Umanità potranno accogliere nuove infrastrutture, turismo di massa e automobili? Domenica 24 settembre centinaia di ambientalisti si sono dati appuntamento ai piedi delle Tofane. Anche la Provincia di Belluno si è unita alla richiesta di valutare l'ipotesi di trasferire le gare a Innsbruck. E il governatore appare possibilista
Centinaia di persone hanno risposto, domenica 24 settembre, all’appello del Comitato Civico per Cortina per dire no alla nuova pista da bob per le Olimpiadi 2026. Hanno aderito alla manifestazione ambientalista venticinque associazioni, tra cui Club Alpino Italiano, Italia Nostra, Mountain Wilderness, Legambiente Veneto, accanto a gruppi e comitati territoriali, da tutto il Nordest e da Milano. I costi dell’infrastruttura, rispetto a quelli stimati nel dossier di candidatura, sono ormai più che raddoppiati. I tempi, invece, sono sempre più stretti (lo abbiamo raccontato qui).
Dopo la gara andata deserta a inizio settembre, Simico, la Società Infrastrutture Milano Cortina aveva aperto una procedura negoziata che, a sua volta, si è conclusa lo scorso 20 settembre senza un’impresa disposta a costruire la nuova pista. Come vent’anni fa per Torino 2006, la società civile chiede di trasferire le gare di bob, skeleton e slittino oltreconfine, a Innsbruck. Allora si proponeva la Francia, invece si sono spesi 110 milioni di euro per la pista di Cesana, abbandonata poco dopo i giochi. Oggi «per non fare una brutta figura» cosa si farà?
Anche la Provincia di Belluno ha chiesto che venga valutata l’ipotesi austriaca e il sindaco di Innsbruck ha scritto, per la seconda volta, alla Fondazione Milano Cortina, candidandosi a ospitare le gare iridate. E il presidente del Veneto Luca Zaia, poche ore fa, ha dichiarato: «Dovremo capire bene dai tecnici rispetto all’offerta di Innsbruck quali siano le spese reali che dovremmo sostenere per andarci, dopodiché immagino che qualcuno dovrà prendere una decisione». Poi ha aggiunto: «A Cortina restano comunque molte gare, e ciò non toglie che si possano rivedere alcune location, visto si è già fatto in altre Olimpiadi. Attendiamo Roma e vediamo cosa accadrà».
Alla manifestazione di Cortina Michele Filippucci (foto qui sopra), dottorando all’Università di Trento, ha portato il punto di vista Protect Our Winter (POW), associazione nata dall’incontro tra atleti ed esperti di comunicazione e di clima, per un’autocritica del mondo dello sport invernale. Ha raccontato un’esperienza personale: il suo viaggio in bicicletta per andare a vedere l’eredità di Torino 2006. «Ho ripensato ai giochi, a cui avevo pure partecipato, come spettatore, da bambino, essendo di Pinerolo. Era stata una bella esperienza. Ma sulle montagne è rimasta un’impronta insostenibile, un’ingiustizia. È l’altra faccia delle Olimpiadi, quella delle infrastrutture abbandonate, che non hanno giovato al territorio e non hanno arrestato lo spopolamento delle valli piemontesi. Non vogliamo che Cortina paghi lo stesso prezzo».
A rappresentare i ragazzi del Venice Climate Camp, evento che per il secondo anno ha riunito in laguna gli attivisti per la giustizia climatica e sociale, c’era Anna Ghedina di Fridays for Future: «Queste Olimpiadi per noi rappresentano il modello di sfruttamento che ha portato alla crisi attuale. Per due settimane di gare, si è disposti a fare di tutto: tagliare alberi, usare acqua ed energia per fare il ghiaccio, etc. Dalla laguna di Venezia a Cortina, i nostri territori sono pieni di esempi di devastazione, uniremo le lotte dei territori, ci faremo sentire, perché chi vive nei luoghi sa che non c’è bisogno di queste opere». A fare eco alle parole di Ghedina, dette con lo slancio e la passione dei vent’anni, sono i tanti striscioni che chiedono di investire in sanità e mobilità sostenibile.
È proprio un’idea diversa di sviluppo della montagna, quella che emerge dagli interventi della società civile. Renato Frigo, presidente del CAI Veneto, ha affermato la necessità della mobilitazione delle persone dal basso, per uscire dal muro contro muro tra chi vuole la pista e chi no: «Essere contrari non significa essere contro lo sviluppo della montagna, anzi. Bisogna ritrovare una capacità di dialogo e ragionamento, spogliarsi da posizioni ideologiche preconcette e mettere al centro il bene comune, che è al di sopra degli schieramenti. Serve chiedersi fino a che punto questo ambiente può sostenere non solo una nuova pista ma anche, per esempio, tutte le auto che arriveranno».
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La difficoltà di raggiungere Cortina è stata vissuta in prima persona dagli stessi manifestanti. Molti, che avrebbero voluto prendere i mezzi pubblici, si sono trovati di fronte all’impossibilità di farlo. Ma non è andato tutto liscio nemmeno per chi si è organizzato con le auto e si è trovato imbottigliato nel traffico a Longarone. Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto, ha sottolineato: «Siamo in tanti, ma avremmo potuto essere molti di più. Molti sono stati frenati dalla difficoltà di arrivare. È la prova di una mobilità tutt’altro che all’altezza di una manifestazione come le Olimpiadi, il cui dossier di candidatura si basava sulla sostenibilità. Qui, per la nuova pista da bob, un lariceto verrà abbattuto senza dover sottoporre il progetto a una valutazione ambientale perché il bosco non è abbastanza grande. Dove la legge lo permette, si deroga alla sostenibilità. Inoltre, il ruolo della società civile ne esce molto ridimensionato perché lo snellimento delle procedure per realizzare la pista comprime i tempi per la partecipazione delle associazioni e la presentazione di osservazioni».
Giovanni Monico, di Libera contro le mafie, da abitante del Cadore, ha ricordato che la comunità non è stata coinvolta quando si è deciso di proporre la candidatura di Cortina per le Olimpiadi. «Noi siamo preoccupati per la sanità pubblica. Pensate che per chi vive a Cortina l’Ospedale più vicino è quello di Pieve di Cadore, un piccolo presidio e spesso bisogna spostarsi a Belluno, o addirittura a Feltre». La stessa vita a Cortina, per chi non ha casa di proprietà, è talmente cara che chi ci lavora spesso è costretto a fare il pendolare trasferendosi nei paesi vicini. Come una piccola Venezia, la “perla delle Dolomiti” si spopola lasciando spazio ai turisti e alle seconde case. E, ancora, ha affermato Monico: «Ci preoccupiamo quando si velocizzano le procedure per realizzare un’opera dai costi così elevati, perché è in quei contesti che più facilmente ci sono infiltrazioni mafiose». Michele Argenta, del collettivo “Ci sarà un bel clima”, ha evidenziato che le comunità alpine non potranno fare affidamento ancora a lungo sul turismo invernale legato alla neve, che già ora ha bisogno dell’innevamento programmato. «Per noi, ascoltare la scienza significa prepararsi al cambiamento, adattare i territori e le economie di montagna. La pista da bob avrà un impatto forte in un tempo breve. Ma nel lungo periodo lascerà un vuoto. Dobbiamo trovare la capacità di re-immaginare i territori alla luce della crisi climatica».
Foto: Elisa Cozzarini/Archivio VITA
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