Cultura

I ragazzi della moschea di Milano. Benvenuti all’italiano

Frequentano la scuola secondo i programmi egiziani. Quindi non riconosciuti in Italia. Sino ad ora i loro genitori avevano rifiutato ogni mediazione.

di Antonietta Nembri

Vanno a scuola due volte: al mattino nella loro e al pomeriggio nelle aule della scuola del quartiere per imparare una lingua straniera, l?italiano. Sono i bambini e le bambine che frequentano il centro islamico di via Quaranta a Milano, una moschea, uno spaccio e una scuola, dalla materna alle medie, che segue i programmi scolastici egiziani. Il progetto è realizzato dall?ufficio scolastico regionale lombardo, con l?Università Cattolica e il Comune di Milano. “Un servizio doveroso anche perché l?italiano è indispensabile per poter accedere all?istruzione superiore”, spiega Mario Dutto, direttore dell?Ufficio scolastico lombardo, “queste lezioni sono il primo passo per una migliore integrazione”.

Senza titoli
La scuola araba di via Quaranta è attiva da una decina d?anni e viene frequentata da circa 400 bambini, figli di immigrati per lo più egiziani. In classe si parla arabo, si studia secondo i programmi del Cairo e a fine anno si fanno gli esami al consolato egiziano. Insomma, è come se questo angolo di Milano fosse in realtà altrove, dall?altra parte del Mediterraneo. Non essendo infatti riconosciuto il titolo di studio egiziano, i ragazzi è come se non avessero assolto l?obbligo scolastico. “Le famiglie sperano di mantenere la propria lingua, le tradizioni, nella speranza di far ritorno nei Paesi d’origine. Ma è irrealistico pensare che il ciclo migratorio si esaurisca in breve tempo. Chiudendosi, si condannano i figli all?emarginazione”: così Paolo Branca, arabista e islamologo dell?Università Cattolica, spiega le ragioni dell?esperienza milanese. Branca, infatti, con alcuni colleghi dell?ateneo di largo Gemelli e gli insegnanti del distretto scolastico della zona sud di Milano sta seguendo in prima persona il progetto. “L?aspetto positivo è che la richiesta di questi corsi di italiano è arrivata dalla stessa scuola egiziana”, sottolinea. “Per poter proseguire gli studi i ragazzi hanno bisogno di conoscere la lingua, non solo a livello di sussistenza, ma in modo approfondito per poter superare gli esami”.
Il progetto non si ferma qui. “Per le elementari”, spiega Branca, “con l?aiuto di una professoressa italiana che ha vissuto a lungo in Egitto gli stessi insegnanti della scuola di via Quaranta stanno facendo un percorso di adeguamento dei programmi. Potrebbero anche nascere degli interessantissimi materiali interculturali, soprattutto nelle materie umanistiche, come storia e geografia, che potranno servire per tutti. è un lavoro importantissimo, andrebbe supportato, ma appartiene a quel genere di avvenimenti che non fanno notizia”.
La moschea di via Quaranta e la scuola egiziana accolta nella stessa struttura, rischiavano di essere viste come un corpo estraneo, soprattutto in questi anni in cui tutto ciò che sa di Islam viene circondato dal sospetto. “Anche un piccolo, grande episodio come i contatti che sono nati per lo studio dell?italiano può contribuire, invece, a creare le condizioni affinché ognuno tiri fuori il meglio di sé”, auspica Branca. “Il contatto con il diverso da sé aiuta a recuperare la consapevolezza di una propria identità, che noi stiamo perdendo. La presenza di chi è portatore di una forte identità è una provocazione salutare. Il politically correct che mira alla cancellazione delle identità, è sbagliato”.

Partita di pallone
E intanto alla periferia sud di Milano si tenta di costruire qualcosa partendo dai banchi di scuola: dopo i ragazzi e le ragazze delle medie, inizieranno i corsi di italiano gli scolari delle elementari. Poi si pensa a laboratori estivi, forse a un torneo di calcio “piccoli passi, ma importanti, perché quando non ci si conosce vincono i fantasmi che ognuno di noi proietta sull?altro”.

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