Non profit
I ragazzi della banlieue «E adesso non lasciateci più soli»
Una giornata nella scuola multicolor
di Redazione
Amina, Roberto, Ahmed… Dopo la violenza, i pensieri a cuore aperto di chi l’integrazione la vive tra i banchi La scuola Casa del Sole del parco Trotter, nella zona di via Padova, è una delle tante scuole di Milano le cui classi contano spesso più del 50% di alunni stranieri, sia nati in Italia sia giunti dopo la nascita. Gli studenti delle medie che ho incontrato il 15 e il 16 febbraio hanno voluto che si parlasse anche del ragazzo ucciso, degli scontri di via Padova e delle proteste di alcuni milanesi. Era quasi inevitabile che l’argomento saltasse fuori, ma è accaduto con naturalezza, senza strappi, urla o isterie, quasi sottovoce. Abbiamo iniziato a parlarne quando qualcuno cercava di descrivere lo spaesamento di chi arriva in un mondo completamente diverso da quello che ha lasciato. Qualcun altro l’ha paragonato immediatamente allo spaesamento dei milanesi abitanti storici di via Padova: anche loro hanno subìto in pochi anni una perdita degli abituali punti di riferimento del quartiere (i negozi, i vicini di casa…), senza avere nessun aiuto nel leggere ciò che stava accadendo.
Amina dice: «È incredibile come tutto sia cambiato in poche ore». Si riferisce all’atmosfera che si respira oggi per le strade, nel parco, nei negozi: tutto è cambiato, tranne che a scuola. Alessandro interviene: «Fortuna che c’erano la polizia e i vigili, altrimenti finiva peggio». Simona, di genitori sudamericani ma nata in Italia aggiunge: «Sì, però, ora, io non mi sento più tranquilla con tutta questa polizia, l’esercito… ti guardano sempre?». Insomma, i ragazzi hanno percepito chiaramente che era necessario ristabilire l’ordine, ma non vivono bene in una situazione così fortemente militarizzata. Chiedo: le cause che stanno dietro ai disordini che sono seguiti alla morte del ragazzo, possono essere affrontate solo con le forze dell’ordine? Il coro di no è unanime, hanno le idee chiare. Ahmed va diritto al punto: «Non c’è integrazione». Andrea, egiziano: «Molti egiziani che conosco sono arrabbiati con chi ha distrutto macchine e negozi, non è così che si fa?». Interviene l’insegnante: «Si respira un clima pesante, la tensione è ancora troppo alta, c’è rabbia per quello che è successo, per qualche tempo è bene uscire solo se strettamente necessario e non rispondere a nessuna provocazione». La manifestazione del 15 febbraio indetta da alcuni italiani – uno studente dice: «Erano tutti vecchi» – e da alcuni politici, ai ragazzi del Trotter non è piaciuta. Parla Roberto, italiano: «Molte persone di via Padova protestavano contro la manifestazione dai balconi, è diverso da come raccontano?». Riprende la parola Andrea: «Qui egiziani e sudamericani giocano insieme al pallone, si conoscono, non è mai stato un problema».
E allora il problema qual è? Forse che gli abitanti di via Padova da soli non ce la possono fare a governare un fenomeno così complesso. E lo sanno bene anche i genitori degli alunni: «L’esperienza del Trotter», spiegano i genitori riuniti nel Comitato Casa del Sole, «e quelle delle tante associazioni e parrocchie che agiscono in via Padova dimostrano che quando si lavora nella direzione della socialità, del riconoscimento e accettazione delle culture, del dialogo, i risultati arrivano, le persone fanno comunità e si sentono più sicure continuando ad essere quello che sono, senza conflitti. Non ci arriva nulla di tutto ciò, invece, dalle istituzioni milanesi. Nessuna attenzione verso i problemi sociali delle periferie da parte di queste amministrazioni, nessun sostegno alle associazioni e al volontariato, nessun tentativo di creare spazi di dialogo, socialità, incontro, e inoltre continua riduzione di risorse finanziarie e umane per prevenire il disagio, soprattutto giovanile». La domanda è: vogliamo continuare a lasciarli soli?
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