Inclusione sociale

I ragazzi ciechi e ipovedenti imparano l’autonomia al campo scuola

La fondazione Lucia Guderzo organizza dal 2016 esperienze estive rivolte a giovanissimi non vedenti o ipovedenti. Il presidente Davide Cervellin: «Lo stare insieme con persone dello stesso stato crea un grande rafforzamento dell’autostima. La cosa bella è che molti ragazzi fanno la prima corsa libera della loro vita durante i nostri campi scuola»

di Ilaria Dioguardi

I campi scuola della fondazione Lucia Guderzo per ragazzi ciechi e ipovedenti durano 15 giorni, l’ultimo è in corso e termina sabato 10 agosto. «E per chiuderlo in bellezza venerdì 9 organizziamo un momento pubblico in cui portiamo all’interno della comunità l’esperienza dei dieci ragazzi che hanno partecipato al campo scuola» dice Davide Cervellin, presidente della fondazione.

Cervellin, cosa è in programma venerdì 9 agosto per la chiusura del campo scuola?

Per la chiusura del campo scuola organizziamo una serata, a partire dalle ore 19,30, che si aprirà con la presentazione del libro Il buio e altri colori (Manni editori) di Alessandro Sellani, che è un giornalista cieco. Verranno letti dei brani in braille dai ragazzi che poi faranno delle domande allo scrittore. Poi ci sarà un concerto di Aleandro Baldi, che è stato il primo cieco a vincere Sanremo. Baldi torna dopo 30 anni a Castello Tesino (in provincia di Trento), nel 1994 era venuto in occasione della fine di un nostro corso per ragazzi che all’epoca si chiamava Il computer come libro e quaderno. La soddisfazione grande è che molti di quei ragazzi che parteciparono ai nostri corsi trent’anni fa oggi sono dei ciechi e ipovedenti affermati nelle loro varie professioni.

La cosa bella è che molti ragazzi fanno la prima corsa libera della loro vita durante il nostro campo scuola

Dove si svolgono i vostri campi scuola?

Si svolgono in una baita in località Baia di Lamon, al confine tra il Veneto e il Trentino, tra il comune di Lamon e il comune di Castello Tesino, a 1250 metri di altezza. È un posto molto bello, un cocuzzolo circondato da prati, non ci sono pericoli. La cosa bella è che molti ragazzi fanno la prima corsa libera della loro vita durante il nostro campo scuola.

Qual è la caratteristica dei vostri campi scuola?

La caratteristica è che noi lavoriamo tantissimo sull’apporto che c’è nel singolo, sul significato del gruppo di pari. Sono dei ragazzi che frequentano la scuola pubblica e che sono sempre considerati “diversi” rispetto agli altri. Nel campo scuola che organizziamo si ritrovano tutti uguali e non hanno nessuna giustificazione nel non poter fare delle cose perché sono non vedenti. È un fatto di grandissima importanza, noi facciamo campi scuola dal 2016. Lo stare insieme con persone dello stesso stato crea un grande rafforzamento dell’autostima. Se Alessandro, Claudia, Lorenzo ce la fanno ce la posso fare anch’io. Questo è un fatto molto importante. Altro elemento importante è che noi diamo un’assistenza a livello minimale.

Ci spieghi meglio.

Dieci ragazzi sono seguiti da due operatori. Ci siamo resi conto che viviamo in un tempo in cui intorno alle persone disabili c’è troppa assistenza e questo è l’elemento che mina l’autonomia. L’obiettivo di questi campi scuola è sviluppare l’autonomia. Se sono autonomo, acquisto indipendenza ho più facilità di realizzare il mio processo di inclusione nello studio, nel lavoro e in tutti i campi. La presenza di operatori, attenti ma pochi, fa sì che tutto quello che è l’aiuto, il bisogno si ricerca prevalentemente nell’altro uguale a te. E il rafforzamento deriva dal gruppo di pari.

Come si svolge la giornata nel campo scuola?

È scandita da tutta una serie di attività in cui i ragazzi sono sempre protagonisti. La mattina si fa l’alza bandiera e la sera l’ammaina bandiera, per ricordare il momento dello scoutismo. Poi c’è la preparazione della colazione e il riassetto dell’ambiente, tutto fatto dai ragazzi. Poi fanno attività manuali ed escursioni. Preparano il pranzo e la cena, in gruppi e a rotazione si occupano, ad esempio, di pelare le patate, preparare la tavola, cucinare i ai fornelli, servire a tavola, lavare i piatti. I ragazzi devono lavarsi la biancheria. Sembrano tutte azioni che sembrano minimali, ma che sono fondamentali.

Ci siamo resi conto che viviamo in un tempo in cui intorno alle persone disabili c’è troppa assistenza e questo è l’elemento che mina l’autonomia

E quando finiscono il campo scuola?

Abbiamo una grande soddisfazione quando dicono ai loro genitori: «Mamma, papà, quando ritornate tardi dal lavoro ora vi preparo io la pasta». Questo è importante, soprattutto perché ricordo che parliamo di ragazzini che non vedono e a cui spesso viene detto: «Questo non lo puoi fare, il fornello non lo puoi toccare perché ti scotti». Poi fanno delle attività sussidiarie alla scuola.

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Svolgono dei laboratori?

Sì, di lettura e di informatica. Abbiamo capito che la lettura è un processo molto importante per l’apprendimento e per l’autonomia. Nelle scuole si tende, per i non vedenti, a sostituire la lettura con l’ascolto, con l’audio libro. Invece noi vorremmo che imparassero a leggere in braille. I ragazzi fanno anche un laboratorio di informatica, anche questo è inteso come elemento per dare autonomia. Non vogliamo che i ragazzi che non vedono abbiano un lettore o qualcuno che prepara lor i materiali, ma vogliamo che leggano autonomamente con i loro strumenti, con le macchine di lettura, in modo da fare un elaborato e consegnarlo all’insegnante senza bisogno che ci sia un traduttore, un trascrittore.

La sera, finita la cena, i ragazzi fanno il filò. Ci spiega di cosa si tratta?

Con il termine veneto filò ci si riferisce a quel momento durante il quale, nella tradizione contadina, le persone si ritiravano nelle stalle per parlare. Nel filò i ragazzi parlano di quello che è successo durante il giorno, dei successi, delle sconfitte, dei problemi, delle soluzioni che hanno trovato. È un confronto tra di loro, senza intermediazione di adulti. Abbiamo notato che è un momento molto importante perché nascono confronti un po’ serrati. E poi cerchiamo di essere parte attiva nel territorio in cui andiamo, non un elemento a sé stante.

In che modo?

Collaborano con noi un gruppo alpino, la pro loco, c’è una collaborazione con gli alberghi, se abbiamo bisogno di supporto. Ad esempio, i genitori possono aver bisogno di alloggiare oppure i ragazzi possono aver bisogno di lavare i vestiti, nel caso di giorni di pioggia consecutivi. Poi organizziamo un evento conclusivo del campo scuola, come appunto il concerto di venerdì 9 agosto. Nella comunità in cui andiamo, portiamo questa bella esperienza di inclusione. E, diciamolo, portiamo anche movimento di persone e, quindi, di denaro. Questo ci è riconosciuto dalla comunità, che quando andiamo via calorosamente ci saluta con un affettuoso “Arrivederci”.

Perché l’età giusta è tra i 10 e i 16 anni?

Il momento giusto dei campi scuola è tra i 10 e 16 anni perché si riescono a coinvolgere di più e riconoscono che o si mettono in gioco o rimangono fuori gioco. Stando tra consimili capiscono che riescono a raggiungere importanti traguardi di autonomia e che, poi, vanno a mangiare una pizza con i compagni di classe.

Com’è la storia dei vostri campi scuola?

I primi anni avevano un approccio dei vecchi corsi di computer che facevamo negli anni Novanta, si svolgevano in albergo con attività all’esterno. Poi abbiamo fatto per un periodo un campo misto, tra albergo e campeggio. Ma poi abbiamo scelto di farli solo in campeggio, ci accorgevamo che le attività fuori erano molto più apprezzate dai ragazzi, sia per l’autonomia che acquistano sia per l’esperienza di immersione con la natura. I ragazzi vanno con la bottiglia a prendere il latte appena munto. Vorrei anche parlarle dell’importanza per questi ragazzi di rassicurarsi un immaginario da adulti.

Molto interessante, ci spieghi questo “immaginario da adulti.

È grande il bisogno di questi ragazzi di pensare un immaginario da adulti. Possono farlo se incontrano delle persone cieche o ipovedenti che hanno fatto determinanti percorsi professionali. Ogni anno selezioniamo delle persone nel mondo dei ciechi e ipovedenti: un professore, un giornalista, un cantante, un fisioterapista, un musicista. Tutti gli anni i ragazzi hanno un incontro con alcuni testimonial con cui passano delle ore per capire come vivono e lavorano certi non vedenti adulti, in modo da rappresentare per loro un possibile scenario.

Foto fondazione Lucia Guderzo

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