Mondo

I quadri di Zeki, dove vivono i sentimenti del campo

Sesta puntata dal viaggio nel campo di Diavata, a Salonicco in Grecia: «Mi hanno detto che qui c’è un artista siriano che a volte improvvisa qualche lezione ai rifugiati. Sono andata a trovarlo»

di Paola Strocchio

Ieri mi hanno detto che al campo di Diavata c’è un artista siriano che a volte improvvisa qualche lezione ai rifugiati. Per incompatibilità di orari non sono riuscita ad assistere a un suo laboratorio, e così stamattina l'ho cercato.

Non è stato difficile trovarlo, perché è uno dei pochi uomini soli che si aggira tra le case. Mi sono presentata e gli ho detto che mi sarebbe piaciuto vedere le sue opere. Mi ha sorriso, intimidito, e mi ha chiesto di seguirlo.

Ha aperto la porta del suo container, e con il braccio mi ha fatto cenno di entrare. Ho fatto per togliermi le scarpe, ma lui mi ha detto di no.

«Enter, don't worry».

Dopo avermi chiesto scusa per il disordine, è rimasto in silenzio.

E io con lui, completamente senza parole. Su ogni parete della sua camera, volti di persone ritratti con quello che passa il convento. La polvere del caffè, i fili elettrici trovati sparsi nel campo, piccoli sassi recuperati chissà come e chissà dove. Matite consumate, pennelli di fortuna.

Non sono un’esperta di arte, ma so riconoscere bene le emozioni.

E di emozioni, dai fogli appesi a quelle pareti, ne escono davvero a fiotti. Ci sono la tristezza, la malinconia, la disperazione, lo sconforto, la paura, il terrore, la nostalgia, le lacrime, la rassegnazione.

Ma a guardarsi bene intorno c'è anche la speranza, e ha il volto di una donna e di due bambini, un maschio e una femmina.

È quello il quadro più bello, e capisco subito il perché. «Lei è mia moglie. E loro sono i miei bambini. Sono già arrivati in Germania. Spero di raggiungerli presto».

È allora che io, che mi maledirò da qui al resto dei miei giorni per la mia indelicatezza, gli chiedo quando lascerà il campo. Lui sorride e alza le braccia al cielo. «I don't know, bit I will find them».

Lui è Zeki, l'artista del campo.

Ho scritto di lui perché non voglio dimenticarla mai la storia di questo uomo gentile, che ha appena trentotto anni e che tutte le notti, prima di addormentarsi, guarda il ritratto della sua famiglia e si domanda se suo figlio ha perso un altro dentino e se sua figlia ha imparato a fare il doppio nodo alle stringhe delle scarpe. E se anche sua moglie sente la mancanza delle sue carezze, su un pianeta, quello dei rifugiati, in cui pare non esserci più spazio per i sentimenti, che a Diavata abitano e vivono nei quadri di Zeki, l'artista del campo.


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