Formazione

I profughi del Congo scrivono all’Onu: nessuna risposta

A dicembre rifugiati profughi rwandesi e burundesi avevano spedito una lettera all'Acnur sulla loro drammatica situazione. Risultato? Aiuti sospesi

di Gabriella Meroni

“La situazione non è cambiata: siamo sull’orlo del collasso Siamo stati abbandonati a noi stessi”: è l’appello per un aiuto lanciato da Aloysius Bayingana, responsabile del Comitato di direzione del Campo di Kintélé, un campo per profughi rwandesi e burundesi situato a 25 km a nord di Brazzaville. La più parte sono arrivati in Congo nel 1994, al tempo dei massacri dei Grandi Laghi. Il 5 dicembre 200 il Comitato di direzione ha inviato un memorandum all’Alto Commissariato per i Rifugiati a Kinshasa e a Brazzaville; a tutte le rappresentanze diplomatiche della capitale, alla Commissione interministeriale incaricata dei rifugiati, alla Commissione Episcopale dei Rifugiati e dei Migranti.

Il documento presentava le condizioni di vita dei profughi rwandesi e burundesi in Congo. In occasione dei 50 anni dell’anniversario dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (ACNUR), essi hanno voluto rompere il silenzio. Nessuno dei destinatari del documento ha risposto al bisogno di questa gente. Silenzio totale. Dal 31 dicembre 1999 è cessata ogni assistenza da parte degli organismi ONU a Brazzaville, “eppure, dice il documento del Comitato, secondo l’Acnur, la sospensione dell’assistenza doveva essere condizionata allo stabilimento e all’integrazione dei profughi nei villaggi. La qual cosa non è avvenuta”. A Loukuléla, sotto-prefettura a 500 km, nella regione della Cuvette a nord del paese, 215 scolari sono iscritti a un ciclo di studi elementari e 26 a quello delle medie. A Kintélé 820 scolari rwandesi e burundesi sono educati da 9 educatori: 150 a livello prescolare, 459 alle elementari, 211 alle medie e 51 a livello superiore. La maggior parte non ha mai beneficiato di un’istruzione normale e regolare. Solo nello scorso agosto, per la prima volta, hanno potuto avere il diploma delle elementari. Il campo di Kintélé manca di acqua potabile. Dopo la scuola i bambini vanno a cercare l’acqua al fiume Congo o presso delle sorgenti situate a un chilometro dal campo, in una gola profonda 80 metri. I più grandi lavorano i campi.

La salute dei rifugiati si degrada sempre più: su 1353 a rischio, 634 sono bambini e 463 donne. Nei campi non arrivano medicine, o cure mediche. La maggioranza di loro non hanno un riparo stabile vivono ammucchiati sotto alcune tende, esposti alle intemperie. Nel Memorandum i rifugiati si domandano quale sarà il loro futuro: non hanno documenti d’identità o di stato civile; non sanno dove andare a dichiarare la nascita dei loro bambini, i matrimoni non sono registrati da nessuna parte. Sei mesi fa Fides (11/8/2000) aveva lanciato l’appello di un padre salesiano a loro favore. Ma finora nessuno si è occupato della sorte tragica di questi rifugiati. Essi desiderano, come si dice nel Memorandum, di “essere riconosciuti come persone umane, con i loro diritti e i loro doveri”.

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