Welfare
I prodotti senza sfruttamento piacciono di più
Tre consumatori italiani su quattro disposti ad acquistare alimenti prodotti senza sfruttare i lavoratori, indipendentemente dal prezzo. A dirlo un sondaggio condotto da Oxfam e Federconsumatori sui clienti della Grande distribuzione. Alla Gdo 8 su 10 chiedono maggiore trasparenza sugli scaffali dei supermercati. In corso anche una petizione "Al giusto prezzo" per chiedere il rispetto dei diritti umani lungo la filiera agroalimentare
di Redazione
«I consumatori ci dicono di non voler essere complici inconsapevoli dello sfruttamento nei campi. Senza informazioni ed elementi che garantiscano la piena trasparenza sul rispetto dei diritti umani nelle filiere, i consumatori non riescono ad esercitare una scelta responsabile che pure dichiarano, senza esitare, di voler compiere» a dirlo è Giorgia Ceccarelli, policy advisor di Oxfam Italia commentando risultati emersi dal sondaggio realizzato a giugno da Oxfam e Federconsumatori, tra i consumatori italiani.
E i risultati dicono che 3 italiani su 4 (il 74,41%) sono disposti ad acquistare un prodotto libero da dinamiche di sfruttamento dei lavoratori, indipendentemente dal prezzo. Solo per il 21,8% il fattore prezzo rimane determinante per compiere tale scelta.
Allo stesso tempo – nonostante la maggioranza dei consumatori intervistati (il 51,67%) si senta mediamente informata rispetto al tema dello sfruttamento nelle filiere agricole – in 8 su 10 (il 78,20% del campione) dichiarano di non avere adeguate informazioni per poter riconoscere sugli scaffali dei supermercati, i prodotti che assicurano una equa redistribuzione del valore tra tutti gli attori della filiera.
Il sondaggio ha voluto indagare inoltre il livello di consapevolezza dei consumatori italiani rispetto al tema dello sfruttamento dei braccianti e degli operai agricoli, e la loro propensione ad agire per arginare il fenomeno.
In merito alle cause che alimentano lo sfruttamento del lavoro nei campi, i consumatori esprimono un sostanziale riconoscimento della complessità del fenomeno, non riconducendolo al ruolo di un singolo attore della filiera, ma piuttosto ad una concatenazione di cause ed effetti. Per il 63,34% degli intervistati l’infiltrazione mafiosa è la principale causa che condiziona un sistema diffuso di sfruttamento nelle campagne italiane. In seconda posizioneil ruolo degli imprenditori agricoli, a cui il 54,11% dei consumatori attribuisce la responsabilità di condurre affari sulla pelle di lavoratori disposti a tutto pur di sopravvivere.
La mancanza di controlli nelle aziende agricole è invece l’opzione scelta dal 51,62% dei rispondenti.
«Stupisce positivamente anche una più matura consapevolezza del fatto che lo sfruttamento non si origina e esaurisce sui campi, ma è il frutto di un percorso di filiera in cui anche il settore della distribuzione e i consumatori hanno importanti responsabilità. Ben il 44% degli intervistati considera lo schiacciamento dei prezzi pagati dalla Gdo per rifornire i propri scaffali e le scelte di acquisto compiute dai consumatori, solo in base alla convenienza economica di un prodotto, tra le cause principali dello sfruttamento del lavoro a discapito degli anelli più deboli della filiera di produzione Ciò evidenzia un alto grado di consapevolezza tra i consumatori italiani sul tema», ha aggiunto Emilio Viafora, presidente di Federconsumatori.
Dall’indagine emergono inoltre azioni che, secondo i consumatori, le aziende della Gdo potrebbero intraprendere per porre fine allo sfruttamento del lavoro agricolo e alla violazione dei diritti lungo le filiere di produzione: garantire che i prodotti a scaffale siano liberi da sfruttamento e aumentarne l’offerta per consentire pratiche di acquisto responsabile; aumentare la trasparenza delle informazioni sull’origine e il percorso che un prodotto compie dal campo allo scaffale; garantire ai produttori un costo all’origine dignitoso che garantisca una remunerazione equa dei fattori di produzione. Tutte azioni che la Grande distribuzione potrebbe intraprendere da subito.
«Si tratta quindi di riconoscere che i comuni meccanismi di audit con cui le aziende valutano l'osservanza dei codici di condotta da parte dei loro fornitori non sono sufficienti a far emergere le cause strutturali delle violazioni dei diritti umani nelle filiere agroalimentari» conclude Giorgia Ceccarelli. «Le aziende devono adottare meccanismi più robusti di due diligence in materia di diritti umani, per capire e monitorare se e come il loro modo di operare sulle filiere agroalimentari stia causando o contribuendo a violazioni dei diritti umani».
Il sondaggio è stato realizzato nell’ambito della campagna di Oxfam “Al giusto prezzo”, che pone al centro il tema della responsabilità delle imprese sui diritti umani e il ruolo che i consumatori possono esercitare.
La campagna “Al giusto prezzo” chiede infatti ai big della grande distribuzione italiana – Coop, Gruppo Selex, Esselunga, Conad e Eurospin – di assumersi la responsabilità della tutela dei diritti umani nelle proprie filiere di approvvigionamento: iniziando da una valutazione sull’impatto che le proprie politiche di approvvigionamento hanno sui diritti umani e adottando misure concrete volte a prevenire, mitigare e porre rimedio ad eventuali violazioni dei diritti.
Una campagna a cui Federconsumatori ha aderito con convinzione, nell’ottica di una collaborazione che proseguirà nel tempo. Come parte della campagna Oxfam ha inoltre lanciato una petizione, che ha già raccolto più di 11mila adesioni, per sensibilizzare tutti i cittadini sul ruolo che come consumatori possono esercitare per spingere i supermercati a migliorare le loro politiche.
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