Politica

«I privati dimostrino di raggiungere dei risultati nella lotta alla povertà»

Dopo Nino Sergi, Giampaolo Silvestri, Giangi Milesi, il mondo delle Ong continua a reagire all'intervista realizzata da Vita.it alla Direttrice dell'Agenzia per lo sviluppo, Laura Frigenti. Questa volta tocca a Luca De Fraia, vice segretario generale di Action Aid Italia, che pone l'attenzione sul ruolo del settore privato e le condizioni di accesso agli aiuti pubblici.

di Luca De Fraia

Le aspettative per la ripartenza della cooperazione italiana sono tante. Abbiamo superato un punto di svolta con l’avvio delle attività dell’Agenzia per la cooperazione e la presa in servizio del Direttore all’inizio dell’anno appena avviato. Altri tasselli stanno andando al loro posto in queste settimane, come nel caso dell’avvio dei gruppi di lavoro del Consiglio Nazionale che si riuniranno il prossimo 20 gennaio, e quindi la discussione per la definizione dei criteri per l’inclusione delle organizzazioni della società civile nelle attività di cooperazione, il cosiddetto elenco previsto nell’articolo 26 della Legge 125. La nuova legge prevede infatti il superamento del sistema dell’idoneità così come lo abbiamo conosciuto con la precedente normativa (L.49/87) e quindi la costituzione di un elenco per le organizzazioni abilitate a ricevere finanziamenti e realizzare iniziative di cooperazione su affidamento da parte dell’Agenzia.

Rimane invece aperta la questione della nomina del vice ministro della Cooperazione internazionale, che speriamo possa essere presto risolta. L’assenza di questa figura sul piano della legge non è più semplicemente un’opzione politica nelle mani del Governo, ma è un elemento normativo vero e proprio.

Nella sua intervista rilasciata a Vita.it, la dott.ssa Frigenti fa riferimento al fatto che gli aiuti debbano essere utilizzati in modo catalitico, specialmente per creare lo spazio per l’intervento del settore profit. È cosa importante da approfondire, e di certo non poteva essere diversamente. Di funzione catalitica si è parlato sempre più frequentemente nel mondo della cooperazione allo sviluppo e l’espressione ricorre nelle deliberazioni delle Nazioni Unite, delle istituzioni internazionali e della nostra stessa Europa.

Ogni operazione finanziata con gli aiuti deve poter dimostrare di raggiungere dei risultati nella lotta alla povertà secondo i principi per l’efficacia.

Personalmente mi sono occupato della questione a più riprese, sia nei dibattiti avvenuti presso lo UN Development Cooperation Forum sia, a livello Europeo, nelle riflessioni di CONCORD Europe. Cenni di questo ragionamento si possono anche ritrovare nell’elaborazione del G8 del 2009 ospitato dall’Italia a L’Aquila, quando si è dato spazio al whole of country approach. Il nodo è quindi emerso in occasione della conferenza di Addis Ababa per la finanza per lo sviluppo che si è tenuta ad Addis Abeba lo scorso luglio. In tale contesto, abbiamo definito assieme ad altri colleghi una posizione che parte dal presupposto che la cooperazione internazionale e gli aiuti in particolare dovrebbero sempre mantenere un chiaro focus sulla riduzione della povertà e delle disuguaglianze. Non solo. Dovrebbero essere sempre utilizzati secondo alcuni principi chiave quali la trasparenza e l’accountability, la partecipazione e l’ownership, che poi non sono altro che i principi che determinano l’efficacia degli aiuti.

Il punto quindi non è il ruolo del settore privato nella cooperazione, né tantomeno quello degli strumenti per sollecitarne l’azione nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibili. La nostra legge 125, ad esempio, dice diverse cose riguardo al coinvolgimento del nostro settore privato, come nel caso della funzione della Cassa Depositi e Prestiti.

Il nodo da sciogliere è se le risorse specifiche che chiamiamo aiuti, o official development assistance (ODA), possano essere utilizzate con l’ambizione di generare un effetto leva e attirare nuove risorse dal mondo profit. Una prima risposta sta quindi in quel development test: ogni operazione finanziata con gli aiuti deve poter dimostrare di raggiungere dei risultati nella lotta alla povertà secondo i principi per l’efficacia. E’ una prova che tutti devono potere superare, anche il settore profit.

Su questo, come su altri importanti aspetti dell’evoluzione dell’agenda dello sviluppo, la discussione rimane aperta e contiamo sulla nuova cooperazione italiana per assicurare che il nostro Paese dica la sua. O meglio, come ha lasciato intendere la stessa Frigenti nell’intervista a Vita.it: tornare al centro del dibattito internazionale sui temi, le priorità, la definizione delle modalità dello sviluppo.

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