I poveri alla stazione dell’autobus

di Marco Dotti

di LÊDO IVO

I poveri viaggiano. Alla stazione degli autobus allungano il collo come anatre per guardare le insegne degli autobus. E i loro sguardi sono di chi ha paura di perdere qualcosa: la valigia che custodisce una radio a pile e un giaccone che ha il colore del freddo in un giorno senza sogni, il panino di mortadella in fondo alla borsa, e il sole di suburbio e polvere oltre i viadotti. Fra il rumore degli altoparlanti e l’ansare degli autobus temono di perdere il proprio passaggio nascosto nella nebbia degli orari. Quelli che sonnecchiano nelle panche si svegliano spaventati, sebbene gli incubi siano un privilegio di coloro che riempiono le orecchie e il tedio degli psicanalisti in studi asettici come il cotone che chiude il naso dei morti. Nelle file i poveri assumono un’aria grave che unisce timore, impazienza e sottomissione. Come sono grotteschi i poveri! E come i loro odori ci infastidiscono anche da lontano! E non hanno la nozione delle convenienze, non sanno stare in pubblico. Il dito sporco di nicotina strofina l’occhio irritato che del sogno ha trattenuto solo la cispa. Dal seno cadente e turgido un filo di latte scorre in una piccola bocca abituata al pianto. Nella piattaforma degli autobus vanno e vengono, scavalcano e stringono valigie e pacchi, fanno domande inopportune agli sportelli, sussurrano parole misteriose e contemplano le copertine delle riviste con l’aria stupita di chi non sa la strada del bel salone della vita. Perché questo andare e venire? E questi vestiti stridenti, questi gialli di olio di dendê1 che fanno male agli occhi delicati del viaggiatore obbligato a sopportare tanti odori fastidiosi, e questi rossi contundenti di mercatini e fiere? I poveri non sanno viaggiare né sanno vestirsi. Tanto meno sanno abitare: non hanno la nozione del comfort sebbene alcuni di loro possiedano persino la televisione. In realtà i poveri non sanno neppure morire. (Quasi sempre hanno una morte brutta e inelegante.) E in qualsiasi parte del mondo danno fastidio, viaggiatori importuni che occupano i nostri posti anche quando siamo seduti e loro viaggiano in piedi.

 

[Traduzione tratta da Lêdo Ivo, Illuminazioni, a cura di Vera Lúcia de Oliveira, Multimedia Edizioni, Salerno 2001] Biografia  [tratta da La casa della poesia] Lêdo Ivo Lêdo Ivo è nato a Maceió, Alagoas, nel 1924. Ha avuto la sua prima formazione letteraria a Recife e dal 1943 vive a Rio de Janeiro. Il suo esordio letterario è del 1944, con “As imaginações” (Le immaginazioni), libro di poesie al quale seguirono altre ventidue raccolte. Oltre alla poesia, Lêdo Ivo si dedica anche alla prosa. Il suo primo romanzo, “As alianças” (Le alleanze), del 1947, conquista un importante premio nazionale. Pubblica altri quattro romanzi, una raccolta di racconti, “Use a passagem subterrânea” (Utilizzare il sottopassaggio), e due testi per l’infanzia, “O menino da noite” (Il bambino della notte) e “O canário azul” (Il canarino azzurro). Tra i saggi figurano “Ladrão de flor” (Ladro di fiori), “O universo poético de Raul Pompéia” (L’universo poetico di Raul Pompéia), “Poesia observada” (Poesia osservata), “Teoria e celebração” (Teoria e celebrazione), “A ética da aventura” (L’etica dell’avventura) e “A república de desilusão” (La repubblica della delusione). Come memorialista, ha pubblicato “Confissões de um poeta” (Confessioni di un poeta) e “O aluno relapso” (L’alunno svogliato). Lêdo Ivo ha ricevuto numerosi e importanti premi. Nel 1990 è stato eletto Intellettuale dell’anno in Brasile. Le sue opere di poesia e prosa sono state tradotte e pubblicate in vari paesi, fra i quali Inghilterra, Danimarca, Stati Uniti, Messico, Perù, Spagna, Olanda e Venezuela. È membro dell’Accademia Brasiliana di Lettere dal 1986. La poesia di Lêdo Ivo è pervasa da influssi della terra natia, il Nordest brasiliano, soprattutto la sua Maceió, città portuale, capitale dello Stato di Alagoas, dove ha vissuto per molti anni e dove sembra ogni volta ritornare, alla ricerca delle immagini che lo hanno segnato. La luce intensa del Nordest delinea con nitore i contorni di esseri e cose, nel loro dolore e nella loro fragilità: navi abbandonate nel porto, cani randagi, mendicanti, pazzi del manicomio cittadino, gabbiani, granchi, formiche, molluschi, angeli scrostati delle piccole chiese di periferia. È questo l’universo apparentemente irrilevante e marginale che pare interessarlo e non le spiagge invase dai turisti, i luoghi alla moda, la frenesia di chi cerca divertimenti ad ogni costo, di chi (anche molti turisti italiani) visitano quelle terre del Brasile senza cercare sintonia con una cultura, una lingua, una storia che per il poeta sono l’humus della sua opera. Un’antologia delle sue opere è stata pubblicata in Italia dalla Multimedia Edizioni con il titolo “Illuminazioni” curato e tradotto da Vera Lucia de Oliveira. Nel 2008 è stato pubblicato da Besa editore il suo “Requiem”, sempre per la traduzione di Vera Lucia de Oliveira. Lêdo Ivo si è spento a dicembre del 2012.

 

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