Politica
I portavoce, da Ghirelli alla Ansuini passando per Casalino
Quella del portavoce è un ruolo che ha sempre implicato tre doti: lo stile, il riserbo e la modestia. La disponibilità a farsi da parte pur di difendere il Capo. Sino a Casalino super protagonista in gaffes e culto di sé. Ma ora con Paola Ansuini si torna nel solco della tradizione che spesso fa pure rima con innovazione. Una “disintossicazione” dall’iper comunicazione da parte dei “Palazzi” che farà solo bene
Ora che Rocco Casalino ha più tempo per le letture ha sicuramente modo per approfondire una figura del passato che ai molti, specie ai più giovani, dirà poco. O nulla. Si sta parlando di Antonio Ghirelli, uno dei “maestri” del giornalismo italiano morto nel 2012. È facile reperire sui portali di vendita un prezioso volume che vede quale autore lo stesso Ghirelli. Titolo: “Caro presidente. Due anni con Pertini”. Partiamo dalla copertina: una bella foto del Presidente amato dagli italiani “rapito” dalla sua pipa e a fianco Ghirelli che gli suggerisce qualcosa. Un’immagine un pochino diversa rispetto a Casalino che si fa ritrarre in copertina come il “Kevin Spacey de noartri” protagonista di “House of Cards”. Ghirelli resistette solo due anni rispetto al settennato di Pertini. E dire che di esperienza ne aveva alle spalle: la direzione de L’Avanti! oltre che la firma su Paese Sera, L’Unità e via discorrendo. Cosa accadde?
Cosa accadde? Lo racconta lui stesso nel libro che Casalino dovrebbe ripescare. Ghirelli diventò capro espiatorio di una gaffe “quirinalizia” a margine della vicenda legata al terrorista Marco Donat Cattin, figlio del celebre leader della corrente democristiana “Forze Nuove”. Uscì dal Quirinale, coprì il Presidente e dopo un anno scrisse un libro di gustosi aneddoti che en passant toccò anche quella vicenda. Dopo poco Ghirelli divenne il portavoce di Craxi neo Presidente del Consiglio e a seguire direttore del Tg2.
Le differenze tra Casalino e Ghirelli? Diverse ma riassumibili in tre punti fondamentali: lo stile, il riserbo e la modestia. Si dirà che stiamo parlando di epoche completamente diverse; i social non c’erano, la comunicazione era meno sincopata. Tutto vero. Peccato che i tre punti sopracitati non hanno visto particolari evoluzioni. Casalino a Palazzo Chigi ha collezionato, gaffes e errori che hanno, spesso, arrecato danno al Presidente del Consiglio, dalla gaffes all'inizio della pandemia, alla gaffes di Google maps in Libia, sino alla pagina della Presidenza del Consiglio che attaccava un leader di partito. Ma il nostro non è mai stato sfiorato dal dubbio di dimettersi. Anzi.
Passiamo al riserbo: ogni portavoce ha il suo stile, la sua storia. Ma nessuno, se fa bene il suo lavoro, cerca di portarsi a casa vantaggi in termini di immagine. Esempi di portavoce “pesanti” se ne possono fare a iosa. Silvio Berlusconi al primo giro da Premier chiamò a sé Jas Gawronski, uno dei pochi che poteva vantare un’intervista con un Pontefice, Giovanni Paolo II. Mica pizza e fichi. E Gawronski non offuscò mai Berlusconi. Poi arrivò Tajani sino al compianto Paolino Bonaiuti. Ognuno di loro parlava con i colleghi, li riceveva alla mattina a Palazzo Chigi o a Palazzo Grazioli, faceva passare i messaggi, ma certo non li si immagina apostrofare gli altri con “amò”. Sarà perché all’epoca non vi erano i “messaggi vocali”? Forse. Ma i tre sopracitati non li si vede cadere nell’errore di mandare in una chat di gruppo un “vocale” che poi finisce paro paro su qualche sito di informazione. Vogliamo giungere a qualche portavoce di oggigiorno?
Prendiamo “il Portavoce” per antonomasia, ossia Giovanni Grasso (nella foto di cover) la “voce” con i giornalisti del Presidente Mattarella. Il grande pubblico ne ha in mente l’immagine, ma non la voce. E’ stato un fine notista politico di “Avvenire”, scrive libri, ultimo “Il caso Kaufmann” – è artefice di cambiamenti dello stile di comunicazione del Quirinale come lo “sbarco” su Instagram, la telecamera che accompagna il Presidente anche negli spazi “off limits” del Quirinale in occasione di particolari momenti, come le consultazioni sino a giungere ai nuovi sfondi dei discorsi di fine anno del Capo dello Stato. Ma Grasso è uomo di rara modestia. E così arriviamo al terzo punto. In occasione del primo lockdown una delle più celebri immagini fu il “fuorionda” del Presidente Mattarella in cui si lamenta con Giovanni (Grasso) che anche lui non va dal parrucchiere per il lockdown (“Giovanni non vado dal barbiere neanche io”). Come tutti. Una “confessione” che rende ancora di più “uno di noi” il Capo dello Stato. Un altro professionista, al posto di Grasso, si sarebbe vantato del “colpo di genio”. Grasso ha smentito in ogni occasione con i suoi interlocutori che questo “fuorionda” dicendo che non era per nulla voluto. Perché un portavoce deve rincorrere la modestia. Un portavoce non è mai bravo, il più bravo di tutti. Un portavoce sente, vede e si schermisce. Dice il giusto e mai una parola di più. Fa di tutto per non apparire.
E ora arriviamo al Professor Draghi, il successore del Professor Conte. I notisti politici “orfani” delle chat di gruppo – non inventate da Casalino, ma da qualche suo diretto predecessore -, si ora ritrovano ora a fare i conti con una “marziana”, Paola Ansuini. Alcuni sono disperati perché non hanno il suo cellulare, non la conoscono. Si rincorrono le voci sulle regole “teutoniche” che pare aver passato a chi l’ha sentita. Ergo basta voci e vocine. Si parla per atti come vuole “SuperMario”. Finita la pacchia. Che, si badi bene, interessa solo agli abitanti dei due chilometri quadrati intorno a Palazzo Chigi. Perché un’intervista a Bettini ogni sette giorni può solo rientrare in questa casistica – i “voyeur di Palazzo” – e interessa solo a loro. E stop. Ansuini è una fior di professionista, come lo è stata Betty Olivi con Mario Monti. La neo portavoce di Draghi negli anni ha “svecchiato” la comunicazione di Banca d’Italia e del Governatore senza per questo snaturare l’Istituzione. Ha piena conoscenza dei tempi e dei modi. Ha un’esperienza internazionale alle spalle. E’ sicuro che Palazzo Chigi sarà attentissimo alla stampa internazionale curando al meglio il rapporto con i corrispondenti in Italia.
La “disintossicazione” dall’iper comunicazione da parte dei “Palazzi” farà solo bene. A tutti.
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