Mondo

I pirati somali non si ispirano al filone salgariano

di Giulio Albanese

I pirati somali non hanno proprio niente a che vedere con i romanzi di Emilio Salgari. Basta dare una scorsa ad un recente rapporto redatto dall’Intelligence del comando della Quinta flotta americana di stanza a El Bahrein e reso pubblico dalla stampa araba, per comprendere che i corsari in questione non si ispirano al filone salgariano. Appoggiandosi su una rete logistica, informativa e finanziaria disseminata nel Golfo Persico, Africa Orientale ed Europa, i “Fratelli della Costa” che infestano le acque antistanti la Somalia riescono nelle loro sortite a fare impunemente il bello e il cattivo tempo. In sostanza si tratterebbe di una gigantesca organizzazione capace non solo d’intercettare i bastimenti in navigazione ma anche di riciclare il denaro sporco proveniente dai sequestri. Le principali bande di bucanieri attualmente dislocate lungo i 3.300 chilometri di costa somala sarebbero almeno quattro, equipaggiate di tutto punto con armi, munizioni eimpianti satellitari in grado di localizzare le loro prede. Sul piede di guerra dopo i blitz francesi e americani dei giorni scorsi, i pirati, stando sempre a quanto riferisce la stampa araba, si sentirebbero confermati dai risultati ottenuti in questi mesi nella loro concezione di una “giusta lotta” contro le ricche potenze coloniali straniere che avrebbero depauperato, a loro dire, le acque della Somalia.Intanto gli Stati Uniti sono sempre più convinti della necessità di rafforzare le misure contro le azioni contro questi filibustieri, e il Pentagono tra le varie opzioni che sta prendendo in considerazione non esclude anche quella di missioni terrestri. Considerando che l’uso della forza in Somalia non ha mai prodotto alcun risultato, sarebbe ora che la diplomazia internazionale uscisse dal letargo; dopotutto la pirateria è solo uno dei tanti sintomi del disordine che attanaglia il Corno d’Africa e la Somalia in particolare. Al momento non pare che vi siano sufficienti prove documentate per dire che dietro la pirateria si celino gli interessi del terrorismo islamico di al Qaeda, ma certamente il processo di pacificazione in Somalia, linea di faglia tra Oriente e Occidente, è estremamente urgente. Se da una parte infatti è vero che la Somalia è un Paese praticamente “senza Stato” dal lontano 1991, quando venne destituito il regime di Siad Barre; dall’altra c’è da considerare che proprio sotto l’Oceano Indiano si celano interessi geostrategici che non andrebbero affatto sottovalutati. Studi accurati, commissionati dalla Banca Mondiale all’inizio degli anni ‘90, sotto la direzione di un grande esperto in materia, il geologo Thomas E. O’Connor, indicano rispettivamente la Somalia e lo Yemen come due sponde della stessa configurazione geologica contenente un enorme potenziale di giacimenti off-shore. Da questo punto di vista, guardando all’attuale congiuntura internazionale, la comunità internazionale ha l’obbligo di vigilare perché gli interessi petroliferi non prendano il sopravvento o quantomeno condizionino il processo di pace in Somalia. Occorre pertanto garantire la sopravvivenza della stremata popolazione civile dopo anni di guerra civile, in un Paese sempre più esposto alle turbolenze mediorientali. Come ho già segnalato su questo blog, un’emittente americana ha annunciato domenica scorsa di aver firmato un accordo con cui si è garantita l’esclusiva sugli attacchi dei bucanieri somali nel Golfo di Aden. Si tratterebbe di un vero e proprio Reality dal titolo più che emblematico: “Pirate Hunters”. Una produzione in grande stile con due squadre di tecnici e operatori a bordo della “Uss San Antonio” (nave anfibia) e della portaerei d’assalto “Uss Boxer”. C’è solo da augurarsi che la stampa internazionale non si riduca ad avere le notizie dalGrande Fratello!

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