Sostenibilità
I pionieri dell’impresa sostenibile
12 multinazionali si impegnano ad abbattere le emissioni: scoprono che è unoccasione di business. Lo dice anche una delle maggiori banche di investimento Usa...
Anche se i governi latitano, le aziende possono fare la loro parte per la riduzione dei gas serra. Lo dimostra il fatto che la metà delle imprese ?amiche del clima? protagoniste del progetto Climate Saver insieme al WWF provengono proprio dal Paese che non ha firmato il protocollo di Kyoto, gli Stati Uniti d?America. Johnson & Johnson, Ibm, Nike, Polaroid, Collins, Xanterra si sono impegnate per un drastico taglio delle loro emissioni di CO2, insieme ad altri sei partner, colossi industriali di tutto il mondo: Sagawa, Sony (Giappone), Lafarge (Francia), Catalyst (Canada), Tetra Pak (Svezia), e Novo Nordisk (Danimarca). La sfida in cui si sono imbarcate non è da poco: eliminare 10 milioni di tonnellate di anidride carbonica all?anno entro il 2010, pari a una riduzione di 833mila tonnellate per azienda.
Nuove opportunità
Il WWF ha fatto due conti: se l?esempio di questa pattuglia fosse seguito dalle 1.300 principali aziende del mondo, l?obiettivo fissato dal protocollo di Kyoto (riduzione delle emissioni del 5,2% tra il 2008 e il 2012) sarebbe già raggiunto. Roba da fantascienza? Non così tanto, se si considera che agire responsabilmente a favore del clima non è solo un costo per l?azienda, ma anche un?occasione di crescita, di innovazione, di aumento della redditività. Insomma, l?ecologia può esser anche un business. E a dirlo non sono soltanto gli ambientalisti.
Lehman Brothers, una delle più importanti banche di investimento statunitensi, ha pubblicato in questi giorni un rapporto – The Business of Climate Change – in cui a chiare lettere si dice che i cambiamenti climatici rappresentano «una delle più importanti forze in grado di influenzare molteplici aree d?affari e lo scenario economico nel suo complesso attraverso modifiche del contesto competitivo, ripercussioni sul fronte della reputazione delle imprese, comportando nuove opportunità per lo sviluppo tecnologico e di business».
«Eravamo ottimisti circa la riduzione delle nostre emissioni fin dall?inizio, ma Climate Saver ha innescato un processo d?innovazione che non ci aspettavamo», dice Bruno Lafont, direttore generale di Lafarge, il più grande produttore di cemento al mondo. «I vincoli», gli fa eco Sarah Severn, direttore Corporate Responsibility Horizons della Nike (il gruppo è stato premiato per aver raggiunto il suo obiettivo di riduzione della CO2), «possono indurre ad un?innovazione incredibile, abbiamo avuto grandi risultati in termini di efficienza e i prossimi passi prevedono partnership con fornitori che possano ulteriormente contribuire a ridurre la nostra impronta sul clima. In sette anni, aderendo al programma Climate Saver la Nike ha ridotto le sue emissioni di CO2 del 13%».
Allarmi e grandi assenti
L?iniziativa del WWF è stata presentata a Parigi in occasione della presentazione del rapporto dell?Ipcc – Intergovernmental Panel on Climate Change, il gotha mondiale dei climatologi. Un rapporto che ha lasciato ben pochi spazi all?ottimismo. Visto che dà per certo che la presenza di CO2 in atmosfera non è mai stata a questi livelli negli ultimi 800mila anni, che quindi entro la fine del secolo la temperatura superficiale della Terra crescerà da 1,8 a 4 gradi centigradi (ma potrebbe aumentare anche fino a 6,4 gradi), con conseguente scioglimento dei ghiacci e innalzamento del livello globale marino. «Occorre partire da queste analisi e operare una drammatica inversione di tendenza mettendo in atto azioni concrete», commenta James Leape, direttore generale di WWF Internazionale. «Climate Saver è rivolto alle grandi aziende che con le loro scelte possono fare la differenza, anche a dispetto di politiche nazionali poco lungimiranti». Come quelle dell?Italia, ultima nella classifica europea nello sviluppo di energie rinnovabili e in grave ritardo anche nell?applicazione dei già pur modesti obiettivi di Kyoto. Con un governo latitante, ma anche con aziende non particolarmente attente: «Nessuno dei grandi gruppi italiani ha ancora aderito a Climate Saver», denuncia Michele Candotti, segretario generale del WWF Italia. La speranza è che qualcuno, finalmente, si decida, «a fare da apripista innescando un virtuoso effetto domino. Tutti i comparti industriali, da quelli a forte impatto come il cementiero o il metallurgico e l?automobilistico, ma anche il manifatturiero, l?alimentare, quello dell?abbigliamento», prosegue Candotti, «possono farsi portatori di una nuova cultura d?impresa scegliendo di orientare le proprie scelte industriali verso le emissioni zero; possono, perché no, immaginare di precorrere i tempi della politica come accaduto negli Stati Uniti dove la General Electric o l?Alcoa, per esempio, hanno deciso di ridurre le loro emissioni di CO2 nonostante la politica di chiusura verso il protocollo di Kyoto dell?amministrazione Bush». Insomma: aziende italiane, sveglia! E se non vi fidate degli ambientalisti, leggete il rapporto di Lehman Brothers. Banchieri, mica ambientalisti…
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