Formazione

I piedi qui,la testa già in Africa

In Francia gli irregolari giunti da Marocco,Senegal e Mali hanno una opportunità in più:grazie a un accordo di cooperazione Parigi favorisce il loro reinserimento nei Paesi d’origine.

di Carlotta Jesi

Brutti, sporchi e adesso anche violenti. Inutile negarlo, gli immigrati oggi fanno sempre più paura. Vengono in Europa e ci piazzano le tende. Ci rubano il lavoro e, a quanto si dice, adesso conquistano anche la palma d?oro della malavita. «Ma perché non se ne tornano a casa loro?» si chiede la ?ggente?.
Per sgombrare il campo da questo coacervo di luoghi comuni ?Vita? ha incontrato tre africani che a casa loro vorrebbero tornare davvero. Diabate, Keita e Mohamed sono africani immigrati, i primi due in Francia, l?ultimo in Italia. Il loro sogno? Tornarsene a casa. Due di loro ci sono quasi riusciti grazie a un nuovo programma di co-sviluppo che si sta sperimentando in Francia. Un programma che attraverso le loro storie abbiamo cercato di capire per poterlo spiegare in Italia a chi riduce la questione immigrazione ad una eterna emergenza. Al terzo, invece, che vive in Italia, probabilmente non resta che attraversare le Alpi e spingersi al Nord.

Alle spalle una moglie e tredici figliHa occhi scuri e profondi Diabate. Occhi un po? stanchi, che a guardarci bene dentro parlano di cantieri, lavoretti al freddo che ti fracassano le ossa e notti scomode trascorse su un pavimento duro con qualche connazionale. Qualche altro ragazzo coi capelli ricci e neri che ha incontrato per le strade di Parigi. E che, come lui, non fa altro che pensare a casa, al Mali.
Dall?Africa Diabate era partito tre anni fa a causa di un ?taglio di personale?. Lasciandosi alle spalle una moglie, tredici figli e il suo lavoro di contabile esercitato per ventitré anni. «Anche se qui in Francia», dice scandendo le parole a una a una, «le autorità odiano noi immigrati e ciascuno pensa solo a sé».
Ci ha provato anche lui, ma se già per un giovane ottenere il permesso di soggiorno e regolari documenti è difficile, figuriamoci per un ?omone nero? di 54 anni. Che comunque non molla: quando non ha un lavoro, segue i dibattiti sull?immigrazione in televisione e tiene d?occhio la situazione del suo Paese. È così che una mattina dello scorso mese di novembre, leggendo le Parisien , scopre che ha ancora una chance da giocarsi. La ministra per la Solidarietà sociale Martine Aubry ha varato un programma di aiuto per il reinserimento degli immigrati irregolari nel loro Paese d?origine. Il provvedimento riguarda Marocco, Senegal e anche il suo Mali, prevede una borsa di formazione in Francia e incentivi in patria. E il cuore di Diabate ricomincia a battere. A Parigi non ha più niente da perdere, e da mesi ormai ha in mente un progetto per tornare a Bamako, la sua città, e aiutare il Mali. Cosa c?è di meglio, per una terra secca, calda e isolata, che portarci un po? di fresco e magari riorganizzare il commercio di pesce, tutt?altro che ben sviluppato? Niente. Diabate si iscrive al programma di reinserimento volontario, la sua idea di costituire un?impresa di camion frigoriferi viene approvata, e a 56 anni inizia la sua terza vita.

Un africano in tweed e col basco
Sempre nel Mali, Keita ha invece deciso di portare telefono, fax e macchina fotocopiatrice. Dopo nove anni in Francia, punterà sulla tecnologia. A vederlo così, vestito in tweed e basco parigino, nessuno direbbe mai che anche lui è figlio dell?Africa più povera, che non ha documenti e che per anni è vissuto di piccoli espedienti. Fino al 1997, per esattezza, quando la legge contro il lavoro clandestino rovina i suoi affari. E Keita non si fida delle proposte di regolarizzazione, teme che lo possano incastrare. Preso dallo sconforto e la malinconia, decide quindi di scrivere a Robert Hue, leader del Partito comunista. Che alla sua lettera di sans papiers risponde cortese. Ma non lo aiuta. Che fare? Proprio in quei giorni, alla televisione, Keita sente parlare dei programmi di sostegno al rientro nel proprio Paese e decide di lanciarsi. Il suo progetto ha ancora bisogno di qualche ritocco, ma grazie ai corsi di formazione in Francia e al sostegno economico una volta tornato in Mali, Bamako avrà il suo chiosco multimediale. E Keita non dovrà tornare a casa a mani vuote. «Come succede a chi non ce l?ha fatta», dice.

Il cuore è rimasto a Dakar
Ma non tutti riescono a tornare a casa. Magari perché non hanno un?idea da realizzare nel loro Paese oppure, come per Mohamed, semplicemente perché da Dakar invece che in Francia hanno scelto di immigrare in Italia. Dove ancora non esiste un programma che favorisca il reinserimento degli immigrati aiutandoli a costruirsi un futuro nel loro Paese. Dove di incentivi al rimpatrio volontario si parla in tempo di elezioni o di crisi annunciate. «Fin da quando sono arrivato in Italia», racconta Mohamed, «il cuore e i miei pensieri sono stati tutti per il Senegal». Da allora sono passati più di dieci anni, durante i quali lui non ha mai chiesto alla moglie e alla figlia di raggiungerlo, ha ottenuto regolari documenti e anche fondato insieme ad altri soci una cooperativa di prima accoglienza per extracomunitari. Ma nel ?90 la nostalgia di casa diventa insostenibile, e Mohamed cerca di trovare un modo per tornarci. Aprire un panificio gli sembra l?idea giusta, in Senegal ha già un locale e anche qui in Italia si è dato molto da fare per capire come realizzare la sua idea. Mohamed contatta decine di panifici, scopre il costo dei macchinari, il numero dei dipendenti e quanto bisogna pagarli.
Quindi si rivolge all?Ufficio Internazionale per l?immigrazione in cerca di aiuto per perfezionare e realizzare il suo progetto. Ma i funzionari non lo stanno a sentire, gli chiedono quanto potrebbe investirci lui nella sua idea e, davanti a un portafoglio vuoto, suggeriscono di frequentare un bel corso di formazione a Milano. Mohamed ci prova, ma gli orari del corso non combaciano mai con quelli del suo lavoro, e alla fine rinuncia. Almeno fino al 1995, quando alcuni amici gli suggeriscono che importare frigoriferi in Senegal potrebbe essere una buona opportunità per tornare a casa. Ma in Italia un programma di aiuto al reinserimento non esiste, e la risposta dell?Ufficio immigrazione è sempre la stessa: ci sono tanti bei corsi di formazione che il piu delle volte non servono a nulla. Rimangono solo gli amici, ai quali Mohamed chiede un prestito per tornare in Senegal e portare con sé frigoriferi italiani. L?affare tuttavia non funziona, c?è troppa concorrenza e i frigoriferi fanno troppo freddo, surgelano completamente il cibo. E Mohamed pieno di debiti, vende il negozio per tornare in Italia e pagare il suo debito con gli amici. Oggi l?ha quasi estinto, ma il suo cuore è rimasto in Senegal. «Perché», racconta, «noi senegalesi non siamo invasori, ma esseri umani in cerca di una possibilità». Che in Italia, per il momento, non hanno. Mentre invece, appena al di là delle Alpi…

Così funziona il programma di rientro

Ecco come funziona il CRPO (Contratto di reinserimento nei Paesi d?origine).
Voluto dalla ministra francese per l?Occupazione e gli Affari sociali Martine Aubry, il CRPO è un programma di aiuto al reinserimento degli immigrati provenienti da Mali, Marocco e Senegal. Annunciato il 4 novembre 1998 e definitivamente approvato nel gennaio di quest?anno, il programma riguarda tutti gli immigrati non regolarizzati che possono spontaneamente presentarsi all? Ufficio internazionale per l?immigrazione e proporre un progetto da realizzare nel loro Paese d?origine.
Prima di partire dalla Francia, agli immigrati africani viene assicurato un corso di formazione di almeno tre mesi, un permesso di soggiorno pari alla durata del corso e uno stipendio di 2002 franchi.
Una volta ritornati in patria gli immigrati ottengono invece un aiuto economico di 2250 franchi, il finanziamento dei progetti da loro presentati e un permesso che consenta loro di tornare in Francia se hanno dato prova del loro reinserimento entro un anno dal rientro in patria. Inizialmente il programma dovrebbe coinvolgere circa tremila extracomunitari presenti sul territorio francese.

Diabate
A 56 anni ho potuto iniziare una nuova vita.Con un’impresa di camion frigoriferi
a Bamako

Keita
Il leader del Pc non m’aveva aiutato.Ora invece ho portato in Mali fax,telefoni e fotocopiatrice

Mohamed
Volevo aprire un panificio in Senegal, nessuno in Italia mi aiutava. E così ora sono pieno di debiti

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