Famiglia
I piccoli adesso fanno la voce grossa
Gli enti "mignon" rispondono alle polemiche dopo la chiusura dei tavoli Cai
Troppa burocrazia e poca efficacia: «Ma col governo bisogna discutere»Sono stati protagonisti – involontari – della polemica tra Giovanardi e alcuni enti autorizzati a causa dell’interruzione dei tavoli di lavoro con la Commissione Adozioni. Impossibile procedere nel confronto, ha spiegato in una lettera il presidente Cai, se i due coordinamenti associativi rappresentano meno della metà del mondo dell’adozione (30 su 69 enti totali). Non si possono escludere i piccoli enti e chi vuole rappresentarsi da solo, ha spiegato Giovanardi, assicurando che le occasioni di confronto ci sono state e ci saranno (la prossima riunione plenaria è in autunno). Eppure loro, i “piccoli”, maggioritari di numero, in grado di chiudere non più di 30-35 pratiche l’anno, rispondono alla polemica con sguardo distaccato. Alcuni, però, ammettono che di tutte queste riunioni a Roma non c’è proprio bisogno.
«Condivido la posizione espressa dal presidente Cai: in assenza di una vera rappresentatività e di un dialogo democratico, i tavoli non possono procedere», commenta Luigi Negroni, responsabile dell’area adozioni per Anpas. «È vero però che il contatto tra la Commissione e gli enti dovrebbe aumentare, perché il confronto è positivo».
Riguardo ai coordinamenti, le visioni sono diverse: «Aiutano a snellire il dialogo, se si condividono le stesse posizioni, ma è comunque importante dar voce anche a chi non è allineato», aggiunge Laura Brol, coordinatrice di Amici Trentini. «Condividiamo gli stessi valori e siamo stati aiutati a innalzare il livello qualitativo del nostro lavoro», spiega Veronica Bonfadini, responsabile dell’area adozioni della Fondazione Nidoli, ente lombardo che si riconosce nel coordinamento Oltre l’Adozione. «Francamente, noi non abbiamo bisogno di una centralinista che risponda a tutte le ore del giorno e di un apparato operativo in 20 Paesi», dice invece Morena Grandi, presidente dell’Associazione Ernesto, che opera in Ungheria. «Se una coppia ha bisogno di qualcosa, ha il mio numero di cellulare. Di cosa dobbiamo discutere a Roma? Non mi riconosco in questa burocrazia. E non mi sembra che ai tavoli si parli davvero della questione-cardine, dare una famiglia a dei bambini».
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