Sostenibilità

I parchi si salvano se diventano laboratori di sviluppo sostenibile

Come riuscirci? Per esempio trasferendo al loro interno centri di ricerca dell'università. Ma soprattutto, coinvolgendo le comunità locali

di Chiara Sirna

Quando sente parlare di sfruttamento economico dei parchi gli viene la pelle d?oca, sul turismo naturale storce il naso. Eppure Tonino Perna con l?integralismo ambientalista ha poco o nulla a che vedere. Da economista, sociologo, ecologista sì ma poco incline alla cieca militanza, i parchi e le aree protette vorrebbe vederli diventare dei veri e propri laboratori di sviluppo sostenibile. «Centri di ricerca e sperimentazione direttamente collegati al mondo universitario», spiega, «allora sì che si potrebbe parlare di sfruttamento compatibile. L?assalto vandalico e indiscriminato non è neanche da prendere in considerazione». Su questo è irremovibile: da presidente del Parco nazionale dell?Aspromonte ha cercato di «dare il buon esempio», ma oggi all?orizzonte non vede nessun motivo per essere ottimista. «Le associazioni ambientaliste hanno perso il treno, la gestione dei parchi è allo sfascio e si sente parlare soltanto di vantaggi economici». La via d?uscita? «Fare in modo che le comunità locali diventino il motore della crescita per le aree sottoposte a tutela, ma ahimè mi sembra che nessuno lo stia proponendo». Ecomondo: L?Italia è uno dei paesi con il maggior numero di aree protette: 800 per 3 milioni di ettari, pari all?11% del territorio, ai quali vanno aggiunti 2,9 milioni di ettari di mare e miriadi di oasi di associazioni locali. La crescita quantitativa è un dato di fatto. Si può dire lo stesso di quella qualitativa? Tonino Perna: No, mi pare che al contrario si possa parlare di una drastica riduzione della qualità di protezione. L?idea comune a tutti i leader di forze politiche negli ultimi anni è che la natura sia un bene sì, ma soltanto se porta frutti economici, soprattutto al Sud dove si concentra il 72% dei parchi nazionali e il 55% di quelli regionali. Ecomondo: Cosa intende? Perna: Voglio dire che si predilige su tutti i fronti la tecnica invasiva di sviluppo e sfruttamento quando invece per difendere la biodiversità c?è bisogno del coinvolgimento concreto ed effettivo delle popolazioni locali. Bisogna far capire loro come ricavare un interesse economico dalla tutela ambientale. Ecomondo: Quali sono le soluzioni di compromesso più opportune? Perna: Va bene lo sviluppo, ma non va bene rovesciare il fine con i mezzi. Legambiente, per esempio, quando pubblica i dati dei parchi in termini di occupazione e reddito sbaglia. Se per ampliare l?aeroporto di Malpensa devo devastare mezzo parco regionale del Ticino, c?è da opporsi. L?impatto economico non deve diventare una giustificazione a priori. Ecomondo: Ma come si conciliano praticamente tutela e sviluppo? Perna: I modi ci sono. È la volontà che manca. Abbiamo avuto una serie di ministri dell?Ambiente disastrosi e anche l?ultimo non è da meno. Matteoli ha creato cinque nuovi parchi nazionali senza motivo, tutti commissariati, nessuno di questi ha mai riunito i consigli una sola volta. Oggi i parchi sono abbandonati a se stessi con tagli ingenti di risorse da parte del governo. È proprio la rete con le periferie che manca, c?è bisogno di progetti culturali, ambientali e strategici dal basso in modo che si possa esercitare anche una critica sugli interventi. Nei parchi passa di tutto: il Pollino, ad esempio, ha uno dei più grandi elettrodotti d?Italia. Ecomondo: Degli esempi di possibile conciliazione? Perna: Per ovviare i vincoli ambientali si può sempre scatenare la fantasia. Bisognerebbe trasferire pezzi di ricerca universitaria, far lavorare i giovani delle aree periferiche dove non c?è sviluppo economico. In Aspromonte sotto la mia presidenza avevamo avviato un corso di giornalismo ambientale, che ora è stato trapiantato in Cilento. Con l?università Statale di Milano per quattro anni abbiamo portato a Bova, un paesino di 500 anime, 40 studenti del master in Sviluppo locale e cooperazione, il che implicava vantaggi economici per la comunità. Con l?università di Roma 3 abbiamo dato vita a una società pubblica che produce energia eolica, Eolo 21. Tutte le aree protette possono essere usate per esperienze di valore aggiunto, culturali, ma anche sportive. Ecomondo: Per queste cose ci vuole un controllo periferico. Invece aumentano le direzioni ministeriali e diminuisce il personale in loco. Aldo Cosentino, il direttore della direzione conservazione della natura del ministero dell?Ambiente è commissario di quattro parchi nazionali. Su un totale di 23 parchi, 8 non hanno presidente, 6 sono commissariati, altri 6 non hanno consiglio direttivo e due sono di fatto ancora inesistenti. I tagli ai fondi sono stati drastici, 4 milioni di euro in meno alle aree protette dal 2001. Di questo passo dove si arriva? Perna: La situazione è critica, manca un piano nazionale di gestione, ma anche quelli interni, per colpa dei ritardi delle Regioni che comunque devono approvarli. Cosentino è allo stesso tempo controllato e controllore. Il budget è sceso in quattro anni del 25-28%, ma in compenso il ministero spende di più perché ha centralizzato tutto. Le attività dei parchi sono congelate perché mancano gli organi collegiali interni. In Aspromonte ci sono 80 dipendenti fermi. Le sperimentazioni di microeconomia, con anche finanziamenti di partner e i vantaggi economici per le comunità locali sono lontani anni luce. Ecomondo: Qualche esempio eclatante di parco ?sommerso?? Perna: Le Cinque Terre subiscono il contraccolpo del turismo di massa, per fortuna il presidente ha saputo introdurre misure di contenimento. Il Gran Paradiso è in difficoltà, le foreste casentinesi sono senza direttore. Ecomondo: Di chi è la colpa di questo abbandono? Perna: Il fatto è che Matteoli con l?ambiente non si capisce proprio cosa c?entri. Sul ponte di Messina, la Tav e il nucleare si è sempre schierato dalla parte opposta degli ambientalisti. E anche le associazioni hanno le loro colpe, troppo politicizzate e con poca capacità di opposizione sul territorio. Non ci sono più gli Antonio Cederna di Italia Nostra. I fatti nuovi vanno al di là degli ambientalisti e dei politici e impongono la trattativa con la popolazione locale. L?unica speranza è che si cominci a passare la mano alle comunità. Il buon esempio dell’Aspromonte L?impegno e l?interesse sociale di Tonino Perna, economista e sociologo, va ben oltre le aule universitarie (insegna Sociologia economica a Messina). L?ex presidente del Parco nazionale dell?Aspromonte e dell?ong Cric, infatti, è autore di diversi libri sullo sviluppo sostenibile. Proprio sul tema dei parchi citiamo il suo saggio del 2002 Aspromonte. I parchi nazionali nello sviluppo rurale, (Bollati Boringhieri). Il Parco nazionale dell?Aspromonte viene studiato come case history di buon impatto sociale generato dalla mobilitazione della società civile attorno a un progetto di valorizzazione e tutela del territorio.


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