Cultura
I muri non son fatti solo di cemento
«Frontiere nascoste» di Daniela de Robert
Ci sono i sans papiers, stranieri senza documenti, intrappolati nella frontiera di carta, ombre definite dalla mancanza di un certificato «che li fa essere uomini e donne». Come Hamidou, che per le lungaggini burocratiche riceve il permesso di soggiorno quando è ormai scaduto. O la peruviana Isabel, scampata alla morte per un soffio grazie al trapianto di midollo della sorella, riuscita a ottenere il visto solo dopo mesi di trafila potenzialmente fatali. Ci sono le frontiere linguistiche, delle parole dette e delle parole non dette, come “genocidio”, negata per anni dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ai massacri del Rwanda, dell’Armenia, del Darfur; parole che disprezzano, come il “nigger” dell’odio razziale, e parole che riscattano, come il “nigga” (Never ignorant getting goals accomplished) dei rapper newyorkesi; parole che separano, come il “verlan” delle periferie parigine, o al contrario che provano ad unire, come la traduzione spagnola dell’inno americano, Nuestro Himno, divenuto simbolo di milioni di immigrati latinos. E poi ci sono le frontiere del corpo, il colore della pelle, la forma degli occhi, il sesso femminile che per molte donne è il primo luogo di tortura e di esclusione. O, ancora, la prosecuzione del corpo, i vestiti: per ingabbiare, come le tute arancioni dei detenuti statunitensi, o per liberare, come il khadi indiano del Mahatma Gandhi.
Di carta, di carne, di stoffa, i muri che senza cemento e senza fili spinati continuano a dividere il mondo, a violentare i diritti e la libertà, sono tanti e sono ovunque. Daniela de Robert, giornalista di esteri al Tg2 , li racconta in Frontiere nascoste. Dogane simboliche, talvolta immateriali, dissimulate dal trambusto della vita, masticate e rese indistinguibili dalla macchina mediatica, un po’ come «gli asparagi selvatici» mimetizzati fra erba e sterpaglie. Ma pian piano l’occhio si abitua e li riconosci anche da lontano: «Quando impari a vederli, i muri spuntano come funghi». Così si moltiplicano le storie di esclusione, di morti dimenticate, ma anche di piccole grandi vittorie, raccontate, senza sistematicità, quasi un ragionare a voce alta. «Se questo libro servirà a contribuire a rendere visibili le divisioni sarà un risultato», si augura l’autrice.
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