Viene da Flint, Michigan, la (ex) città della General Motors e del regista Michael Moore. Ma Claressa Shields, 17 anni, non fa film, tira pugni. E lo fa bene, tanto da vincere il 10 agosto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Londra nella categoria dei pesi medi battendo in finale 19-12 Nadezda Torpolova.
Una vittoria che affonda le radici in una delle zone più depresse e ad alto tasso criminale degli Stati Uniti. Qui, Claressa vive un’infanzia non facile. Vive con la madre Marcella, ma a crescerla è la nonna, mentre il papà Bo è in carcere, condannato 7 anni per furto. Nella “giungla” di Flint la ragazza incontra la boxe. Un amico, Eddie, la sfida, dicendole che non resisterebbe una settimana nella palestra di Bearston, dove si boxa gratis. Scommettono dieci dollari e vanno in palestra. Claressa ha 11 anni. Lì incontra quello che sarà il suo allenatore James Crutchfield. Quando il papà, fuori dopo la condanna, scopre che fa boxe, glielo vieta. “Non è uno sport per signorine”. Ma intanto passa il tempo a parlarle di Leila Alì, pugile e figlia del grande Muhammad e a incoraggiarla.
Claressa cresce come pugile ma non ha pace per la sua vita famigliare. Nel 2010, a 15 anni, torna a vivere con la madre, ma questo non fa bene alle sue prestazioni e alla sua serenità. Così se ne va, prima della zia, poi da un’amica infine a Mount Morris, dove il coach Crutchfield abita con la sua compagna e sua figlia di 6 anni. A Londra mancano meno di due anni e la ragazza rischia di non qualificarsi ai Giochi, dopo la sconfitta ai Mondiali in Cina. Ce la fa per il rotto della cuffia, ma a Londra ci arriva. Nel torneo olimpico, dove è la più giovane, domina contro tutte diventando la prima donna medagliata statunitense nella boxe nella storia delle Olimpiadi.
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