America Latina
Sos migranti sul confine tra Colombia e Panama
Parla Stefano Masci, direttore della Comunità Incontro in Costa Rica. L'organizzazione ha aiutato oltre 4mila minorenni ad uscire dalla tossicodipendenza e supporta i migranti che arrivano nel Paese dopo l'attraversamento del Darién Gap, la terra di nessuno in mano ai trafficanti di esseri umani
di Paolo Manzo
«Insieme a mia moglie gestiamo una Onlus, la Comunità Incontro fondata nel 1993 in Costa Rica da don Pierino Gelmini. Siamo qui dal 2003 e il 30 di settembre celebreremo i nostri vent’anni». A parlare con VITA dalla Provincia de Puntarenas, nel comune di Los Reyes, in Costa Rica è Stefano Masci, un bergamasco tenace che ama dire le cose come stanno, senza troppi giri di parole. Con lui abbiamo affrontato due temi, quello delle nuove tossicodipendenze tra i giovanissimi del Costa Rica e il dramma dei migranti che ogni giorno passano davanti alle quattro case della Comunità Incontro dopo avere attraversato l’inferno del Darien Gap.
Un dramma che «le organizzazioni umanitarie non riescono più a gestire di fronte all’aumento del numero di persone che arrivano. Nelle ultime settimane sono arrivate tra le 2.000 e le 3.000 persone al giorno» ha denunciato Jose Lobo, coordinatore di Medici Senza Frontiere nel Darién panamense.
I migranti dalla Costa Rica poi vanno su verso Nicaragua, Guatemala e Messico con il sogno degli Usa in testa dopo avere affrontato il Darien Gap. Molti passano anche dalla Comunità Incontro, ci spiega chi sono e come arrivano?
Sono di passaggio, famiglie o gruppi di amici, ragazzi e ragazze che si fermano due o tre giorni per poi continuare il loro cammino. Arrivano senza soldi, per cui fanno piccoli spostamenti da città in città, sperando di arrivare fino alla frontiera con gli Stati Uniti. Tutti loro mi parlano di quest’incubo del Darien Gap e mi dicono che ci mettono una settimana ad attraversarlo. Di recente una famiglia con bambini che con cui ho parlato (la famiglia della foto, ndr) mi ha raccontato di avere contato 16 cadaveri attraversando quell’inferno. Loro offrono caramelle per raccogliere qualche soldo e proseguire il viaggio verso nord.
Stefano fa una pausa. È indignato per chi polemizza in Italia su un dramma come quello migratorio. «Se uno vede i video di quelli che cercano di passare il Darien Gap, dallo Yemen all’Arabia Saudita o quelli che cercano di attraversare il Sahara è pura disperazione e buttarla in caciara politica è veramente penoso». Poi riprende a raccontarci l’odissea dei migranti da lui incontrati, sopravvissuti al Darien Gap. «Il cammino è sporchissimo. Quasi tutti abbandonano gli zaini perché non ce la fanno più, una roba allucinante e dopo, se ce la fanno a superare quella giugla, è tutto un mendicare per trovare gli spiccioli per fare un altro pezzettino di strada.
Quando arrivano al primo paese di Panama dovrebbero prendere una lancia per arrivare al posto di accoglienza dell’Onu ma costa 20 dollari a persona. Per cui anche lì si fermano finché non riescono a racimolare per fare un altro pezzettino. All’Acnur gli danno da mangiare, raggranellano altri soldini e poi cercano di arrivare fino in Costa Rica.
Qui ho scoperto andandoci, il posto di frontiera si chiama Paso Canoas, appena un’ora e mezza di auto da dove siamo noi, che ci sono tanti pullman parcheggiati. Avevo letto una notizia che c’era questo servizio che portava i migranti sino alla frontiera del Nicaragua e mi ero detto ‘Però che bello, questo almeno in Costa Rica lo hanno fatto bene’. Ma mi chiedevo perché se c’era questo servizio, tanta gente passasse da me, dalla capitale e nelle cittadine circostanti».
Che cosa ha scoperto?
Che il bus costa 30 dollari e che la gente non li ha e per questo vanno in giro e arrivano anche qua da me, in questo paesello a mille metri di altitudine e in altri villaggi piccoli dove c’è più accoglienza e più compassione. La gente più semplice qui ha meno paura mentre nelle città è un macello, la gente ha paura e c’è molta delinquenza.
Quanti migranti sono fermi a Paso Canoas?
In media fra i sei e gli ottomila, in un posto di frontiera con dieci bagni e quattro docce. Una roba allucinante. La situazione è mostruosa, nel campo c’è un tendone e un po’ di prefabbricati. Un minimo di accoglienza c’è ma quando ho scoperto che il pullman costava 30 dollari mi sono cadute le braccia perché qui obblighi questa gente a deambulare nel tuo paese a vuoto e, sono sincero, mi ha deluso un po’ la democratica Costa Rica.
Eppure il dramma dei migranti nel Darien dura da anni.
Inizialmente passavano africani e poi un po’ da tutti i paesi dell’America meridionale, tanti haitiani al pari dei cubani. Però il grosso negli ultimi anni fugge dal Venezuela, una tragedia biblica dal 2014. Incredibile che in paesi come quello, che ha una ricchezza potenziale enorme, le persone siano costrette a scappare in questa maniera.
Cambiamo tema e passiamo alla droga, un altro dramma che affligge l’America latina. Ci può spiegare cosa fa la Comunità Incontro e quali sono le nuove tossicodipendenze tra i giovanissimi del Costa Rica?
Proponiamo loro di stare con noi due anni e mezzo, tre. Qui studiano – abbiamo dalle elementari fino alla maturità – poi, volendo, possono fare l’università a distanza». Ci sono tante attività a Los Reyes, la falegnameria, corsi di formazione di internet e di inglese ma, soprattutto, proponiamo loro una quotidianità sana, in modo che possano sperimentare cosa vuol dire vivere senza avere la mente alterata dalle sostanze e provare ugualmente molta soddisfazione.
Quali sono le sostanze che fanno più danni?
La droga principale, soprattutto per i più piccoli, è la marijuana prodotta dai colombiani. Ma non si fanno le canne innoque come è nell’immaginario collettivo degli italiani, ma di marijuana con un principio attivo, il Thc, molto più potente. I narcos colombiani quando si mettono a fare qualcosa la fanno bene purtroppo, anche la marijuana senza il Cbd, il principio attivo che depotenzia il Thc che è invece quello che altera la mente. Puoi immaginare la potenza di questa super marijuana che poi mischiano sovente anche con un po’ di cristalli di crack. Abbiamo ragazzini di 13 anni che hanno iniziato a 9 a usare questa droga che è devastante per loro perché ne blocca lo sviluppo. Poi c’è il già citato crack, la cocaina e gira molta chetamina, un anestetico devastante usato per i cavalli.
Quanti minori avete aiutato nelle vostre quattro strutture?
Da quando c’è Comunità Incontro Costa Rica circa quattromila. Ora ne abbiamo in pianta stabile un centinaio, di cui una settantina sono minori e una trentina tra i 18 e i 20 anni.
Dal suo osservatorio la legalizzazione risolverebbe il problema?
«Da un lato mi metto nei panni di chi con 50 anni o più si fa una cannetta ogni tanto e che per farsela deve andare dallo spacciatore rischiando di acquistare un prodotto pericoloso. Dall’altro mi fa rabbia la narrazione che legalizzando la mariujana si sconfigge la mafia. Non è vero, anzi è una balla enorme. Primo perché tutta la filiera illegale, essendo esentasse e potendo aumentare i principi attivi nocivi cresce ulteriormente. Inoltre perché i nuovi consumatori sono sempre più spesso policonsumatori per cui nella stessa serata si fumano la canna, tirano di coca e si bevono il whisky. Per cui adesso, per esempio, nelle grandi città qui tu chiami il fornitore, magari online, e lui ti porta tutto, persino la pizza margherita. Insomma, il fatto di avere coffee shop sul modello dell’Olanda degli anni ottanta è relativo perché impatta su una fascia di mercato veramente minima. I minorenni ne resterebbero fuori e ci sarebbe la concorrenza di prezzo, perché se lo Stato la vende a dieci, lo spacciatore la vende a otto, senza poi dire degli orari di vendita, che sono 24 ore su 24 per le mafie. Sostenere che si sconfiggono le mafie con la legalizzazione è veramente ridicolo e spero che lo dicano in buona fede.
Credits delle foto: Natalia Romero Peñuela/MSF e Stefano Masci
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.