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I miei studenti chiusi in gabbia

Ecco un brano di uno scritto di Athe Gracci,assistente e maestra volontaria nel carcere di Pisa

di Cristina Giudici

Questa settimana pubblichiamo un brano di uno scritto di Athe Gracci, assistente e maestra volontaria nel carcere di Pisa che ha firmato il libro ?Dentro queste mura?(ed. Il Grappolo), scritto a quattro mani con Ovidio Bompressi. Parole che riflettono il suo stupore per ciò che ha scoperto dentro il carcere e dentro se stessa. Parole che fanno riflettere

I miei studenti che non vanno a scuola, che insegnano a me, donna seria, ciò che dovrebbe sapere sull?esistenza. Insegnano il riflesso della vita, che non si trova nei libri, che ci stupisce per storie che sembrano inventate. I miei studenti che non vanno a scuola, e imparano insegnando. Ascolto le loro storie, Una musica senza pudore. Che non si vuole ascoltare per paura dell?ignoto. Per paura della nostra parte debole e misteriosa che allontana per istinto le sofferenze dell?anima e la sensazione di smarrimento dinanzi alla miseria umana. Una miseria che può toccare tutti, anche coloro che si credono ricchi e potenti.
I miei strani studenti coinvolgono l?animo mio trasmettendomi la loro sofferenza. Mi insegnano la loro ignoranza. E io imparo senza dare giudizi. Ogni uomo, dicono, è singolo. Questo ho imparato da loro. Studenti che studiano solo come poter uscire indenni per andare verso il futuro. Parlo ai miei studenti, e anche loro parlano. Quasi tutti della strana vita che conducevano quando la libertà veniva scambiata e confusa con mille altre sensazioni o interepretazioni falsate.
Così parlando liberamente, mi insegnano a ritrovare lo scopo della vita. Frugano nei ricordi per allontanare l?angoscia. Avvertono il buio del loro passato e hanno paura del futuro, fuori dai muri che li circondano.
Le loro aule sono fredde e silenziose. Muri sguarniti, porte di ferro, a sbarre, a loro volte chiuse da altre porte blindate. Non sorridono quelli che stanno sulla prima porta, sono sospettosi quelli che stanno sulla seconda, e poi, dopo il terzo cancello, la libertà di essere me stessa. Non riesco a descrivere ciò che esiste all?interno di questa scuola. Dal di fuori si apre il dominio delle congetture e poi l?ignoto, da dove sorge il dramma se si penetra nella vita di ognuno di loro. Il colloquio con questi giovani diventa stupendo se si trovano parole adeguate al sentimento di colui che ci sta dinanzi. Questo mondo di relcusi non si analizza mai molto. I tormenti che emergono dalle loro immagini fuggiasche del passato, si allinenano a fianco del timore dell?indifferenza che troveranno dopo, fuori. Mi chiedono fotografie di alberi in fiore, di animali domestici, di tutte quelle cose che la privazione della libertà toglie loro. Come accarezzare un gatto. Quanti di loro mi hanno manifestato questo struggente desiderio? Vedo nei loro occhi crisi tormentose, livide ore di disperato sconforto, intramezzato da attimi di lieve speranza.

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