Non profit

I miei due amori, Gino ed Emergency

La più famosa tra le organizzazioni umanitarie italiane è nata intorno al tavolo della sua cucina.

di Benedetta Verrini

“Guarda, adesso è proprio un brutto momento. Verso le 10 dovevano essere a Bagdad, però non abbiamo notizie e siamo un po? in ansia”. Sono quasi le 13. è incrinata, la voce di Teresa Sarti. Suo marito, Gino Strada, è in viaggio da ore verso il cuore dell?inferno dell?Iraq, con un team d?emergenza e 30 tonnellate di farmaci. Per curare i feriti di guerra. Fa un sospiro, Teresa. è la stessa scena che si ripete, la stessa paura di oltre un anno fa, quando lei era qui in Italia e lui sotto le bombe di un?altra guerra, quella dell?Afghanistan. “La guerra è la stessa dovunque: una semina d?odio di cui non riusciamo a immaginare le conseguenze” riflette. “Ci hanno detto che ormai è finita, che l?Iraq è in festa. Mio Dio! L?Iraq è in preda a regolamenti di conti, saccheggi, violenze. è questo il risultato della guerra?”. Mentre parla, sussulta: c?è una chiamata da Bagdad. è Gino: gli ci sono volute sette ore per raggiungere la capitale. Racconta a Teresa la situazione impressionante che ha sotto gli occhi: il fumo, i morti, gli ospedali saccheggiati. E saluta, l?emergenza lo chiama. Vita: Da diversi anni, ormai, Emergency è un avamposto di pace nelle zone più calde del pianeta. Quando è cominciata? Teresa Sarti: Nove anni fa, intorno al tavolo della cucina di casa nostra. Io insegnavo italiano e storia in un liceo. Gino aveva già una lunga esperienza di chirurgia di guerra. Quella sera ci ha detto che bisognava creare un?organizzazione piccola, agile, indipendente, per le vittime civili della guerra. Non credevo che fosse possibile. Da che parte si comincia, mi sono chiesta, a fare un?organizzazione umanitaria? Il 15 maggio 1994, durante una cena tra amici in un ristorante di Milano, abbiamo raccolto il nostro primo capitale, 12 milioni e mezzo di vecchie lire; quello stesso giorno siamo usciti con la prima campagna ufficiale, per contribuire alla messa al bando delle mine antiuomo. Vita: Una mobilitazione che ha lasciato un segno forte: due anni più tardi, nel 1997, il Parlamento ha approvato la legge che vietava la produzione di mine. Sarti: Emergency è nata subito con una doppia valenza: curare le vittime delle guerre e raccontare, fare cultura di pace. è nel nostro dna testimoniare ciò che vediamo: in questo modo la gente viene sensibilizzata, può comprendere meglio cos?è una guerra e perché è fondamentale stare dalla parte della pace. Vita: Anche ora, che il pacifismo sembra quasi sotto accusa per l?epilogo di questa guerra? Sarti: Epilogo? Mi sembra indecoroso parlare di fine della guerra, in questo momento. E spero davvero che i pacifisti non cadano nella trappola del fare autocritica. Questi morti, che erano la cosa che non volevamo, ci sono stati! E continueranno a esserci, anche quando i riflettori del mondo si spegneranno. è lo stesso copione dell?Afghanistan. Quando i mujaheddin sono entrati a Kabul, i giornali italiani hanno scritto trionfali che le donne si toglievano il burqa e gli uomini si tagliavano la barba. Non era vero, io lo sapevo dai nostri che erano là: c?erano fiumi di cadaveri in giro, altro che burqa! Vita: La guerra non finisce mai, insomma. Sarti: In Afghanistan si è dichiarato oltre un anno fa che era tutto finito, che tutto si sarebbe “normalizzato”. Invece anche ora ci sono scontri dovunque, i signori della guerra sono più armati di prima, i fiumi di dollari che si sono riversati solo su Kabul hanno creato una corruzione spaventosa. Ora tutto questo si sposterà in Iraq, si spegneranno le telecamere e solo chi resterà vedrà. Vita: Come Emergency. Moltissime persone si sono innamorate della vostra causa, in questi anni. Come ve lo spiegate? Sarti: Credo sia perché diciamo cose che li convincono, e contemporaneamente le facciamo. Unito a tutto questo, c?è un forte messaggio di ?no alla guerra?. Proprio questo è probabilmente anche la spiegazione degli attacchi all?associazione e a Gino. La pretesa di alcuni sarebbe: “Tagliate, cucite, rattoppate. Che bisogno c?è di parlare anche?”. Ma per coerenza e impegno etico, non puoi fare tutte queste cose senza dire cos?è la guerra. Vita: C?è una zona, tra tutte quelle in cui operate, cui è particolarmente legata? Sarti: Direi proprio la zona del Kurdistan, nel nord Iraq, dove sono stata a lungo nel 1998. Ma anche l?Afghanistan. Dovunque vai, finisci per coinvolgerti, per provare un?immensa tenerezza verso questi popoli, che vivono in una situazione di emergenza infinita, anche quando pensano di riprendere una vita normale. Le mine, infatti, hanno dissolto per sempre il concetto di dopoguerra. Continuano a fare vittime, anche tanti anni dopo la fine dei conflitti. In Cambogia abbiamo avuto il picco peggiore di feriti da mina cinque anni dopo la fine della guerra, perché 16mila profughi sono rientrati dalla Thailandia e hanno incontrato sul loro cammino queste nemiche silenziose. Vita: Lei e Gino avete una figlia. Che cosa le raccontava prima di partire, quando era bambina? Sarti: Quando Gino è partito per la prima volta, Cecilia aveva 8 anni e mezzo. Era molto orgogliosa di suo padre ma poi, dopo qualche mese, è entrata un po? in crisi. Allora io l?ho portata a Quetta, tra Pakistan e Afghanistan, dove Gino lavorava con la Croce Rossa internazionale. Quando lei ha visto, non c?è più stato bisogno di spiegarle. Info: Per informazioni e contatti con Emergency: telefono: 02. 863161 sito web: Emergency

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