Welfare
I meriti dei nostri prof
Al via il nuovo anno. I provvedimenmti della Gelmini ridaranno la giusta autorità ai professori?L'editoriale di Vita Magazine
Tutti a scuola. Potrebbe essere questo il titolo dell’anno che sta per ricominciare. Da tempo non si registrava un interesse così diffuso e così tutto sommato costruttivo verso questo ambito decisivo della nostra vita collettiva. Il ministro Gelmini ci ha messo del suo, affrontando con decisione (e a volte senza sapersi frenare prima del necessario) tante questioni che per anni sono state quasi tabù, come quella della disciplina dei ragazzi. Il risultato è che la scuola a pieno titolo è salita tra le priorità, da affrontare finalmente non più nei tempi biblici delle riforme, pretenziose e onnicomprensive. La scuola è fatta di un day by day, chiede risposte rapide, semplici, possibilmente concrete. Ma per mettere a fuoco bene queste risposte è bene sbarazzarsi subito da un equivoco che aleggia soprattutto in ambito professorale o intellettuale: ed è l’idea che in Italia la scuola sia in una condizione catastrofica. Non è affatto così. Anzi è vero esattamente il contrario. In un Paese in cui tante istituzioni, a partire dalla famiglia, hanno perso identità ed autorevolezza, la scuola come luogo di apprendimento, di crescita e di relazioni sociali ha svolto un ruolo di supplenza davvero inimmaginabile. Certo non ci riferiamo alla scuola così come viene normalmente raccontata dai giornali con quell’istinto scabroso che ormai contraddistingue il nostro agonizzante mondo dell’informazione. Per affrontare i nodi della scuola bisogna avere la consapevolezza di avere tra le mani un grande patrimonio di esperienze e di intelligenze che va sostenuto nel compito sempre più affascinante e complicato che si trova a svolgere. Ad esempio nell’anno che sta per cominciare, sui banchi delle scuole italiane prenderanno posto 700mila alunni stranieri. In molte regioni saranno più del 10% del totale. Ci saranno 92mila romeni, 85mila albanesi, 76mila marocchini. E anche i bambini rom sono dati in crescita del 4%. Questo significa che la scuola sta svolgendo una funzione delicatissima di integrazione: pensiamo al rapporto con le famiglie e alla relazione che si crea tra famiglie italiane e non quando i figli sono compagni di banco. Non c’è un metro per misurare gli effetti di questo amalgama quotidiano che si costruisce nelle aule, ma ci vuole poco a intuire che oggi la scuola rappresenta il più formidabile fattore di integrazione nella società.
Per questo invece che fare continuamente lezioni alla scuola, sarebbe meglio agevolarla concretamente in questo suo ruolo tanto decisivo. E si dovrebbe cominciare dalla valorizzazione del suo capitale umano, cioè gli insegnanti, secondo criteri che non disdegnando affatto il merito, portino finalmente a una svolta salariale. Ma oltre che più soldi gli insegnanti devono essere messi in condizione di avere più potere: e in questo il ministro Gelmini ha colto nel segno, per quanto le soluzioni da lei proposte possano essere discusse. Ma è certo che oggi il problema è la delegittimazione, sia a livello concreto sia sul piano dell’immaginario collettivo, del corpo insegnante. È un piano inclinato da cui si esce con scelte coraggiose e magari controcorrente. E con il riconoscimento dei meriti che la scuola in questi anni, nonostante tutti i venti ostili, ha accumulato.
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