Welfare
I makers anti covid? 74mila in 49 paesi
La scossa che il Coronavirus ha provocato nel mondo dell'innovazione sociale ha visto l'Italia protagonista con un gran numero di progetti. Ora tocca al settore pubblico che doti questa spinta di un quadro normativo e regolatorio per portare alla certificazione delle proposte più significative e ridurre l’incertezza. La rubrica “Sharing” di Ivana Pais del numero del magazine in distribuzione
di Ivana Pais
L'emergenza Covid-19 ha provocato una forte scossa nel mondo dell'innovazione sociale, che si è trovato a fronteggiare i problemi legati alla chiusura dei propri spazi di lavoro e all’isolamento fisico e, al tempo stesso, ad attivarsi per trovare soluzioni alle crescenti esigenze che si manifestavano a diversi livelli della nostra società.
Un ambito particolarmente sollecitato e dinamico da questo punto di vista è quello del movimento makers. La prima azione a livello internazionale è stata in Italia, per la stampa 3d di 500 valvole Venturi per i respiratori ospedalieri, prodotte da Isinnova di Brescia. La stessa azienda ha poi sviluppato un prototipo per la costruzione di maschere respiratorie d’emergenza riadattando maschere da snorkeling in commercio (nella foto di copertina) e ha messo a disposizione dei makers la documentazione per l’eventuale stampa a fronte di una richiesta d’emergenza da parte degli ospedali. I fablab si sono messi a disposizione per la stampa e per la raccolta di valvole stampate da singoli maker a casa propria.
Nello stesso periodo, a metà marzo, nasceva a Boston “Open Source Covid-19 Medical Supplies”, un gruppo Facebook nato con l’obiettivo di mettere in contatto i makers tra loro e con chi potesse validare i loro progetti dal punto di vista medico e scientifico.
Il gruppo ospita progetti open source per mascherine, visiere e occhiali protettivi, intubation box che permettono al dottore di essere protetto durante l’intubazione del paziente, apri-porta per non toccare le maniglie no a progetti complessi come il ventilatore open-source creato dal Mit che costa poche centinaia di dollari rispetto al prezzo standard di 30mila dollari.
Tra le storie più interessanti, quella di uno scout canadese di 13 anni che ha creato fascette salva-orecchie in risposta alla richiesta di un ospedale per alleviare il dolore agli operatori sanitari che indossano le mascherine per molte ore.
Complessivamente, questo gruppo ha mappato 74mila makers che a inizio maggio avevano prodotto più di 7 milioni di dispositivi di protezione per personale sanitario in 49 Paesi del mondo.
La mappatura dei prodotti creati in Italia è iniziata solo a fine aprile grazie all’associazione Make in Italy. L’associazione ha creato una pagina sul proprio sito dove si trovano le statistiche sui prodotti creati e anche una pagina con una selezione di progetti che possono essere replicati facilmente a livello locale. Finora si contano più di 20mila visiere, 3.500 fasce salvaorecchie, mille adattatori per maschere di snorkeling, quasi 400 mascherine, 15 valvole Venturi e 8 intubation box creati da makers italiani. Un’iniziativa simile è stata portata avanti in Spagna dal progetto Coronavirus makers, che è riuscito a coordinare la creazione di più di un milione di dispositivi.
Martina Ferracane, fondatrice del FabLab Western Sicily ed esperta del mondo makers anche a livello internazionale, attribuisce le differenze tra i diversi ecosistemi e tra l’entità dell’impatto che i makers sono riusciti a raggiungere in vari Paesi anche al ruolo del settore pubblico e al quadro normativo e regolatorio.
Per esempio, in Repubblica Ceca, il ministero della Sanità ha approvato una visiera stampata in 3d e questo ne ha favorito la diffusione all’interno degli ospedali. Negli Stati Uniti, l’Istituto Nazionale per la Sanità si è spinto no a creare un database con progetti che i makers possono replicare in modo sicuro e validato…
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*Ivana Pais, professore associato di Sociologia economica nella facoltà di Economia dell'Università Cattolica
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