Volontariato

I liquidatori. L’ultimo mistero della centrale

Per il comitato Onu sulle radiazioni, i morti “ufficiali” del disastro sono solo 41. Per l’Ufficio affari umanitari, sempre Onu, sono 9 milioni.

di Silvia Pochettino

Per coloro che credono, nessuna spiegazione è necessaria; per quelli che non credono, nessuna spiegazione è possibile”: con queste parole sibilline Norman Gentner, segretario scientifico dell?Unscear (il comitato scientifico dell?Onu per lo studio delle radiazioni atomiche) concludeva la conferenza internazionale sulle conseguenze dell?incidente nucleare di Cernobyl, tenutasi a Kiev nel 2001. Gentner, a modo suo, sintetizzava bene il problema: a 18 anni dall?incidente, non ci è dato sapere i veri effetti del disastro.
“Stavo partendo per Mosca quel giorno, e il mio contatore geiger incominciò a registrare livelli pazzeschi di radioattività. Pensavo fosse rotto. Immediatamente arrivò l?ordine da Mosca di non dire nulla”: a raccontare è il professor Vassili Nesterenko, rinomato fisico nucleare sovietico, al tempo direttore dell?Istituto per l?energia atomica dell?Accademia delle scienze della Bielorussia. “Per giorni e giorni ci fu impedito di parlare, faceva un caldo strano e la gente usciva, portava fuori i bambini in carrozzina. Io sapevo. E mi sembrava di impazzire”.

Villaggi azzerati
Il disastro divenne di dominio pubblico solo a seguito della pressione dei Paesi occidentali, raggiunti dalla nube radioattiva, e si aspettò fino al 4 maggio per l?evacuazione della popolazione nel raggio di 30 chilometri attorno alla centrale. “Venivano, ci davano cinque minuti per prepararci, non potevamo portare niente con noi”, racconta un?anziana. “Poi distruggevano tutto con le ruspe e lo ricoprivano di catrame. Per la contaminazione, dicevano”. Migliaia i villaggi azzerati, milioni le esistenze da reinventare. E non solo quelle dei contadini; una delle prime teste a cadere fu proprio quella dello stesso Nesterenko, esonerato dal ruolo di direttore dell?istituto perché tacciato di “troppo allarmismo”. “Mi intimarono di non occuparmi di Cernobyl. Ma come potevo farlo?”. Che Cernobyl sia stato il più grave incidente nucleare della storia dell?umanità è indubbio. Ma la sua reale entità e le sue conseguenze restano oscure. Sui danni economici provocati dal disastro c?è unanimità. Ma è sugli aspetti sanitari, invece, che la guerra continua.
Alla conferenza di Kiev del 2001, convocata sotto l?egida dell?Oms, gli esperti si sono letteralmente accapigliati. L?Unscear, per bocca del dottor Gentner, ha sostenuto che “finora non si è verificato nella regione di Cernobyl nessun aumento delle malformazioni congenite”. E stabilito come effetti riconducibili al disastro nucleare “con certezza scientifica” 31 morti durante l?incendio, 200 colpiti da sindrome da radiazione acuta e 2mila casi di cancro alla tiroide nei bambini, di cui 10 morti accertati. In totale, 41 morti, niente di più.

La strana alleanza
In pratica, un incidente aereo avrebbe provocato più morti. Va notato che il rapporto Unscear è il documento che serve di base per i governi per determinare le norme di sicurezza e radioprotezione. Tanto che Hans Blix, al tempo di Cernobyl direttore dell?Aiea , l?Agenzia internazionale per l?energia atomica, ha affermato: “L?industria nucleare potrebbe sopportare una Cernobyl ogni anno”.
Ma c?è di più. Un accordo del 1959 tra Aiea e Oms (RES WHA 12-40) prevede una reciproca consultazione per “la salvaguardia del carattere confidenziale di certi documenti” quando una delle due organizzazioni si impegna in un campo che “presenti un interesse importante per l?altra parte”. Ovvero: l?Oms non può pubblicare nessuna indagine sulle conseguenze sanitarie delle radiazioni atomiche senza l?ok dell?Aiea, che è l?agenzia volta a promuovere il nucleare nel mondo. Paradossale. Come dire che sta al lupo dichiarare quante galline ha mangiato. Contro questo accordo sono state presentate numerose mozioni all?assemblea dell?Oms e si è mobilitato un vasto movimento popolare, ma nulla, per ora, è stato modificato. Sostiene Hiroshi Nakajima, intervistato dalla tv svizzera a Kiev: “L?Aiea è l?unica agenzia a dipendere dal Consiglio di sicurezza dell?Onu. Sulle questioni legate al nucleare loro sono nostri superiori. Non possiamo farci niente”. Nakajima era direttore generale dell?Oms ai tempi della prima conferenza mondiale sugli effetti di Cernobyl, nel 1995, i cui atti non sono mai stati pubblicati per il veto dell?Aiea.
Piotr Shashkov mentre racconta piange: “Morti, sono tutti morti. Se ci fossero ancora, i miei ragazzi avrebbero 35 e 36 anni”. Piotr era un capo squadra dei ?liquidatori?, i 600mila uomini inviati a rimuovere a mani nude le macerie del reattore di Cernobyl. Con una radioattività diffusa di 20mila mrem l?ora, era sufficiente prendere in mano un pezzo di grafite per ricevere in un secondo e mezzo la radioattività che si accumula in una vita in condizioni normali. Ma bisognava cancellare subito il disastro.
Così i ?ragazzi? furono mandati con pale e badili a combattere radionuclidi. “Il mio compito era assicurare l?illuminazione”, racconta Victor Kulikovskyj, anche lui liquidatore. “Per tirare i cavi si partiva in una squadra di dieci persone, di corsa, li si posava e si tornava di corsa. Tutto doveva durare due minuti. Poi partiva l?altra squadra. Così ci dicevano i dosimetristi. Non più di due minuti. Ma come si può fare un lavoro in due minuti?”. Victor ha un?alterazione della corteccia cerebrale e della circolazione sanguigna del cervello, dimentica tutto facilmente, ha problemi di equilibrio; come un?Alzheimer precoce. Non ha ancora 40 anni. Poi ulcera, gastrite. Ma la sua preoccupazione è il figlio di quattro anni, nato con un?alterazione congenita. Un polipo gli blocca il retto. È già stato asportato tre volte, ma si rigenera.

L?Onu contro l?Onu
I liquidatori sono un buco nero della storia di Cernobyl. Ripagati male fin dal principio, sono stati poi dimenticati, cancellati. Gli Stati post comunisti in gravissima crisi economica hanno negato ogni legame tra le loro malattie e la radioattività. Sarebbe costato troppo curarli. L?Occidente, per lo più, ne ha ignorato l?esistenza. Così, mentre Unscear e Aiea dichiaravano “con certezza scientifica” 41 morti legati a Cernobyl, sorprendentemente, lo stesso anno, un?altra agenzia dell?Onu, l?Ocha (l?Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari) presentava un rapporto dove sosteneva l?esistenza di 9 milioni di vittime per il disastro, affermando che i risultati più gravi della tragedia si avranno nei prossimi anni. Il problema di fondo è che le tesi dei ?credenti?, nuclearisti e minimizzatori, si rifanno esclusivamente agli studi effettuati sui sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki, che sono stati colpiti da leucemia e tumori. Non vengono presi in considerazione altri tipi di effetti. I ?non credenti?, invece, critici dell?energia nucleare, sostengono che sia riconducibile alle radiazioni tutta una serie di patologie diverse.

80 volte Hiroshima
“Nello scoppio della bomba atomica in Giappone la combustione è arrivata rapidamente al suo culmine, le vittime sono state colpite da forte irraggiamento esterno, ma la contaminazione dei terreni è stata 80 volte minore che a Cernobyl”, spiega Vassili Nesterenko, nuclearista convertito. “A Cernobyl le vittime da irraggiamento diretto sono state relativamente poche. Invece la lenta incorporazione, attraverso il cibo e l?acqua contaminati, di radionuclidi a lunga vita, porta disfunzioni del tutto differenti: cardiopatie, problemi renali, immunodeficienza. Patologie ancora da studiare”.
Che le malattie, soprattutto dei bambini, esistano, è innegabile. All?ospedale di Buda-Koshelyovo, a 30 chilometri da Gomel, nel Sud della Bielorussia, zona a forte contaminazione da cesio 137, ci forniscono dati drammatici: dal 1996 al 2002 le disfunzioni all?apparato digerente dei bambini sono cresciute del 2.000% (da 225 a 5.092 casi ogni 100mila), quelle cardiache del 250%, i danni al sistema nervoso sono raddoppiati. In compenso, nessuna leucemia.
La dottoressa Olga Kniageva, viceprimario, da vent?anni nell?ospedale, racconta: “Prima dell?86 la gastrite nei bambini era una patologia pressoché sconosciuta, così come l?ipertensione e i problemi renali. Oggi gli invalidi sono cresciuti del 21%”. Poi aggiunge, prudente, “però non possiamo dimostrare che ci sia una correlazione con Cernobyl”. La versione ufficiale, infatti, è che le malattie dei bambini siano legate alla povertà; con il crollo dell?Urss e la crisi economica, l?alimentazione dei piccoli è peggiorata. Ma qui sbotta la dottoressa: “Non mi facciano ridere”, dice, “dopo la guerra mangiavamo solo patate, ma i nostri bambini erano sani!”. Alla scuola di Komunar, nella stessa regione, l?infermiera scolastica mostra i registri: “L?80% degli allievi ha problemi di salute: al cuore, alla vista, allo stomaco. Sono bambini che si stancano subito, non possono correre”.

Un mese in sanatorio
Parlando con la gente, tutti danno per scontata una relazione tra la radioattività e le malattie dei bambini; d?altra parte ancora 300mila di loro passano ogni anno un mese in sanatorio e 60mila, di cui la metà in Italia, vengono ospitati all?estero per un mese di ?decontaminazione? . Come spiegare questo fatto? “Nessuno nega le malattie dei bambini, ma la causa non è la radioattività”, taglia corto il professor Arrigo Cigna, fisico nucleare italiano che per anni ha lavorato all?Enea e scritto diversi studi sul caso Cernobyl. “Abbiamo oggi in Bielorussia livelli di contaminazione bassissimi: dai 50 ai 100 bequerel per ogni chilo corporeo (unità di misura per indicare una disintegrazione atomica al secondo, ndr). L?Unione europea ha posto limiti di 600 bequerel/chilo per i prodotti alimentari al tempo dell?incidente, ed era già un livello di estrema prudenza. I problemi oggi in Bielorussia sono stress e povertà”.
Ribatte Nesterenko: “Sono dati fuorvianti. Un chilo di alimenti che contiene 600 bequerel, mangiato da una ragazza che pesa 40 chili significa 15 bequerel/ chilo, molto meno di quelli riscontrati nei bambini bielorussi. In Europa nessuno ha mai vissuto per lunghi periodi con questi livelli. Non si vogliono prendere in considerazione i nostri studi perché significherebbe ammettere conseguenze catastrofiche dell?incidente nucleare”.
Per Nesterenko la Bielorussia è diventata (tristemente) un laboratorio unico per studiare le conseguenze delle radiazioni. Insieme al professor Yuri Bandajevsky, anatomopatologo dell?Istituto di medicina di Gomel, una delle principali città del Paese, ha fondato l?Istituto di radioprotezione indipendente Belrad. Ha organizzato 370 centri di controllo radiologico nei villaggi contaminati, realizzando uno spettrometro ?a poltrona? per la misurazione dei bambini. Ne ha misurati 192mila. Alcuni risultano avere, oggi, anche 1.400 bequerel/chilo corporeo.
“Il cesio 137 si dimezza in trent?anni”, spiega. “Il problema è che la gente non è informata. È l?informazione il punto”. Con il suo istituto ha formato alla radioprotezione insegnanti e infermieri in 80 scuole delle zone contaminate (“ne restano 831, però”) e ha pubblicato libri e tenuto conferenze. Ha subìto, anche, due attentati. “Quando tocchiamo fenomeni che agiscono su lunghi periodi storici, gli scienziati risultano spesso altrettanto impreparati e non lungimiranti quanto il normale cittadino”, sostiene Volodymir Tykhyj, fisico nucleare ucraino. “Le nostre società non sono pronte a rispondere a incidenti di questo tipo”. O non hanno voglia di farlo. Nessuna commissione internazionale, infatti, ha finora compiuto studi epidemiologici seri per confermare o confutare la relazione tra bassi livelli di incorporazione di cesio 137 e le malattie dei bambini. Né si sono adottate misure sanitarie adeguate.
Intanto, l?ultimo reattore della centrale di Cernobyl è stato chiuso il 15 dicembre 2000 e con lui sembrerebbe calato il sipario sulla tragedia. Ma centinaia di migliaia di bambini continuano a soffrire e altri 13 reattori, uguali a quello di Cernobyl, sono in funzione nell?ex Urss.

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