Cultura

I libri esigono umilt

Intervista a Marco Archetti.

di Sara De Carli

«La foto la chieda alla casa editrice, io sono un disabile della tecnologia», confessa Marco Archetti. Classe 1976, un nuovo romanzo (Vent?anni che non dormo) che narra l?arte di arrangiarsi, è immune dalla spocchia del vip. Anzi, è decisamente simpatico. Che effetto fa avere ?scrittore? sulla carta d?identità? Niente di particolare, mi sentivo scrittore già prima. Non da sempre, solo da quando ho realizzato che essere scrittore vuol dire tentare continuamente di diventarlo. è un viaggio, un orizzonte, non un punto di arrivo. Quali autori l?hanno segnata? Cortazar, Joyce, Gombrowicz sono diretti responsabili del mio fare questo strano mestiere. Tra i contemporanei Aldo Busi, con Seminario sulla gioventù, e Alberto Arbasino, con Fratelli d?Italia. Mai smesso di leggere un libro? Quelli di Amélie Nothomb mi annoiano. E ho smesso di scriverne tanti: all?inizio erano tutti aborti, per mancanza di umiltà. Lo scrittore deve fare da cassa di risonanza alle cose che scrive, non viceversa.


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