Sostenibilità
I leader e il gioco dell’Oca
Si parte il 5 dicembre: nuovo trattato o impegni generici?
di Redazione
Dopo anni di negoziati, c’è ancora chi preme affinché
il vertice non si concluda con un accordo vero e proprio ma solo con un “risultato politicamente vincolante”. Un salto indietro a una casella precedente che contraddice tutti gli allarmi della comunità scientifica. Che continua a ripetere che tempo non ce n’è più.
E che il gioco deve finire
La scadenza tanto attesa è arrivata, il Summit di Copenhagen, che dovrebbe decidere il nuovo accordo sul clima, è alle porte? E tutt’a un tratto cosa fanno i cosiddetti leader del mondo? Dicono che non ce la si fa e che il raggiungimento del nuovo trattato, da affiancare al Protocollo di Kyoto, va rinviato. Un perverso gioco dell’oca – torna indietro alla casella di partenza – che non si coniuga per nulla con quel che dice la comunità scientifica, che invece lancia allarmi sempre più pressanti, avvisando che di tempo ne rimane davvero poco. Dopo i negoziati di Barcellona a inizio novembre, infatti, le parti non hanno ancora un testo negoziale vero e proprio, ma una serie molto corposa di “non papers” (documenti informali, potremmo tradurlo così).
Nelle ultime settimane abbiamo visto lo sforzo convergente di una serie di leader dei Paesi industrializzati – tra cui il primo ministro danese e capi di governo e /o ministri di Svezia, Regno Unito, Canada, Australia e altri – per ridurre le aspettative per Copenhagen, prospettando un “risultato politicamente vincolante” e il protrarsi dei negoziati per un altro anno. Viene da chiedersi cosa abbiano fatto sino ad ora. Proprio chi scrive, invitata a parlare al G8 Ambiente a Siracusa, mise in luce il pericolo di continuare a procrastinare sino a Copenhagen tutte le decisioni, senza puntare ad avanzamenti intermedi. Il G8 dei leader a L’Aquila, bisogna dirlo, produsse qualche progresso. Ma nessun mandato preciso è arrivato ai negoziatori, anzi a Barcellona abbiamo avuto conferma del fatto che siamo tornati alla fase in cui ognuno si nasconde dietro alle difficoltà dell’altro.
È difficile sostenere come il tempo a disposizione non sia stato sufficiente, porché dal Summit di Bali sono passati ben due anni e tutte le opzioni sono state sviluppate e sono sul tavolo. È vero che non è certo che il Senato Usa approverà in un mese la nuova legge sull’energia, un elemento importante per evitare che si ripeta la situazione di Kyoto, ma il provvedimento sta avanzando e basterebbe un accordo tra i due schieramenti prima di Copenhagen per offrire le necessarie garanzie politiche. E comunque il mondo potrebbe anche cominciare a muoversi e creare per gli Usa un regime speciale che permetta loro di recuperare il ritardo.
Le richieste del WWF per Copenhagen possono essere riassunte in dieci punti (vedi anche box a pagina 7):
Copenhagen è e rimane dunque un momento topico, e i Governi hanno riconosciuto questo molto chiaramente. Oltre 40 capi di Stato hanno già annunciato che guideranno le loro delegazioni nazionali personalmente, da quelli di piccoli Stati insulari a quelli di grandi Paesi industriali. I punti chiave rimarranno, certamente, le decisioni sugli obiettivi di riduzione delle emissioni nei Paesi industrializzati e sulla deviazione dalla tendenza attuale per le economie emergenti, nonché il necessario accordo vincolante sul sostegno finanziario per i Paesi più colpiti. Perché le ragioni di ottimismo non rimangano pie illusioni, però, c’è bisogno della mobilitazione della società civile e dei cittadini. Bisogna aumentare la pressione sui capi di Stato e di governo, bisogna farsi sentire perché non giochino con noi e con il futuro.
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