Formazione

I laboratori della Buona Scuola dove si impara un lavoro

Si chiamano Laboratori territoriali per l’occupabilità. Sono progetti per rafforzare lo sviluppo delle conoscenze pratiche e le competenze trasversali. E preparare i ragazzi a quella che è la vocazione produttiva di ogni territorio

di Gabriella Meroni

Saranno aperti da dicembre, costano tanto ma altrettanto promettono ai giovani: essere un luogo concreto, fisico, di connessione tra scuola, territorio e mondo produttivo, incubatori di energie da sprigionare poi per cercare un lavoro o, spesso, crearlo.

Sono i Laboratori territoriali per l’occupabilità, un altro tassello della Buona Scuola caratterizzato da un investimento importante (45 milioni per “sole” 58 iniziative, ben 750mila euro in media a progetto) e da ambizioni altrettanto alte: «Si tratta di alleanze educative e progettuali che innovano la scuola anche per rispondere a esigenze e specificità locali», ha dichiarato il ministro Giannini nel presentarli, lo scorso autunno.

«Serviranno a combattere la dispersione scolastica e la disoccupazione, con un forte orientamento allo sviluppo di conoscenze pratiche e competenze trasversali».

Spazi fisici concreti, i laboratori serviranno ad aprire la scuola al territorio, anche al di fuori dell’orario curricolare; nascono da una rete locale (devono essere proposti da almeno tre scuole, con

il coinvolgimento obbligatorio di almeno un ente locale e di un ente pubblico, e la partecipazione — opzionale ma incoraggiata — di altri soggetti che possono anche essere cofinanziatori) e avranno — ecco la novità — lo sguardo rivolto al made in Italy e alla vocazione produttiva di ciascun territorio.

Aperti agli studenti, vi potranno accedere anche i cosiddetti Neet, quelli che non studiano né lavorano, per essere reinseriti in percorsi di formazione, sviluppare competenze e avvicinarsi concretamente all’innovazione attraverso la pratica, per migliorare le proprie «condizioni di occupabilità». Forse per l’entità dei fondi a disposizione, questo bando ha avuto un notevole successo: oltre 500 i progetti presentati alla scadenza, 151 quelli ammessi, a febbraio, alla seconda fase della selezione e 58 quelli risultati finanziabili. Fra le proposte presentate, ristoranti “digitali” nei quali ottimizzare il servizio utilizzando strumenti informatici, officine tecnologiche, poli per la robotica e la meccanica e molto altro.

A Bologna, per esempio, sorgerà un Laboratorio Territoriale all’interno dell’Opificio Golinelli (in cover un'immagine dell'ingresso), la “cittadella per la conoscenza e la cultura” nata in un ex stabilimento industriale abbandonato rigenerato e riqualificato gestito dalla Fondazione Golinelli. Qui una rete di nove scuole superiori, capitanate dall’Istituto Tecnico Belluzzi, insieme a oltre 35 realtà pubbliche e private di Bologna, daranno vita a “OF-Opus facere, fare per capire”, un progetto articolato sulle vocazioni produttive trainanti per il futuro del territorio: salute e

benessere, meccatronica e motoristica, agroalimentare, ricerca sui nuovi materiali, automazione, sviluppo delle Ict e dei Big Data.

Il laboratorio, organizzato attorno all’hub centrale dell’Opificio ma collegato ad altri luoghi (come le Officine SanLab a San Lazzaro di Savena e agli spazi dell’Istituto Tecnico Archimede, a San Giovanni in Persiceto), sarà dotato anche di un laboratorio mobile per estendere l’intervento su tutta l’area metropolitana e coinvolgere i bambini più piccoli, delle scuole medie e primarie.

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Opificio Golinelli


Grandi idee per grandi numeri: finanziato complessivamente con 2,5 milioni (750mila euro del Miur e il resto messo a disposizione dai diversi partner, tra cui spiccano Ducati, Lamborghini, Coop, Carpigiani) “OF-Opus facere fare per capire” durerà 10 anni e si rivolgerà a 10mila studenti, mille insegnanti e 10mila cittadini ogni anno.
«È un nuovo modo di fare scuola che rivoluzionerà il paradigma formativo», assicura il direttore generale della Fondazione Golinelli Antonio Danieli. «Si baserà principalmente sull’assunto dell’imparare facendo, combinando formazione disciplinare, ricerca e sperimentazione in laboratorio, esperienza sul campo, incrociando formazione liceale, tecnica e professionale. Sarà inoltre esplorato un nuovo modo di insegnare e saranno dotati gli alunni di una “cassetta degli attrezzi” per prepararsi alle professioni e per creare le nuove imprese del futuro».

Da un opificio fatto di muri spessi, ciminiere e tetti spioventi al ponte di una nave che solca il Mediterraneo il passo potrebbe sembrare lungo, ma non lo è se si considera che un altro progetto finanziato dal bando ministeriale riguarda proprio una vera imbarcazione: si tratta del Laboratorio Territoriale Nave Scuola presentato dall’Istituto Nautico Caboto di Gaeta, una realtà che vanta 161 anni di vita e, come sottolinea il dirigente Salvatore Di Tucci, «ha trasformato il nostro territorio, popolandolo di marinai, marittimi e ufficiali».

Frequentato da 900 studenti provenienti da 33 Comuni diversi, alcuni dei quali macinano 50 chilometri al giorno per raggiungerlo, il Nautico ha presentato l’idea vincente di armare un’imbarcazione per svolgere attività formativa “in situazione” e, quindi, in navigazione e non in simulazione, come del resto già avviene a scuola: «In questo modo, una volta terminato il percorso scolastico, gli studenti saranno già pronti e operativi per entrare nel mondo del lavoro», sottolinea il preside.

Il personale di bordo sarebbe al completo: la scuola offre infatti due indirizzi, macchinisti e capitani, quindi alcuni ragazzi si occuperanno della parte meccanica e altri della rotta e dei comandi. «Era molto tempo che aspettavamo un’occasione come questa, e quando è uscito il bando abbiamo subito pensato che non potevamo farcela sfuggire», continua il professor Di Tucci.

L’unico neo è rappresentato dai costi, visto che i finanziamenti ministeriali non bastano per attrezzare e mettere in mare una barca, oltretutto dotata di ulteriori misure di sicurezza per il trasporto di passeggeri così giovani; il preside tuttavia è fiducioso, perché oltre ai partner istituzionali (i Comuni di Gaeta e di Piano di Sorrento e l’Università degli studi di Napoli Parthenope) diverse aziende private hanno manifestato interesse per l’iniziativa, e trattative sono in corso per arrivare a una piena realizzazione del sogno di almeno 25 ragazzi: il futuro equipaggio del primo Laboratorio Territoriale senza terraferma, ma con grandi sogni da realizzare.

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