Donazioni
I giovani? Sono loro i maggiori sostenitori del non profit
Il rapporto "Donare 3.0" di Rete del dono e Paypal documenta come i giovani siano i più coinvolti, sia nelle donazioni sia nel volontariato. Età e genere influenzano le ragioni del giving: donne e giovani donano per generare cambiamento, uomini e baby boomers per garantire servizi. Nel digitale le donazioni da mobile superano quelle da desktop
Chi pensa che i giovani non siano impegnati nel volontariato e nel sostegno alle cause filantropiche dovrebbe leggere l’edizione del 2024 del rapporto “Donare 3.0” commissionato a Bva Doxa da Rete del dono e Paypal. Sono i millennials e la generazione z, infatti, a rialzare il dato sulle donazioni, che in generale si è abbassato a causa delle crisi economiche e dell’impatto delle guerre (Il 76% dei baby boomers e il 78% della gen X ha dichiarato di donare, contro l’84% delle nuove generazioni). Anche la bandiera del volontariato viene tenuta alta dai più giovani, che sono maggiormente coinvolti in attività di questo tipo (il 34% di millennials e gen z, contro un dato generale del 30%). Il rapporto conferma anche la tendenza a utilizzare il digitale come modalità di donazione preferita (38%). Per la prima volta c’è stato il superamento del mobile (67%) sul desktop (61%). Abbiamo chiesto a Valeria Vitali, fondatrice e presidente di Rete del Dono, di commentare il rapporto.
Il report evidenzia una differenza sostanziale tra le motivazioni che spingono a donare le donne e i giovani e quelle che invece spingono a donare gli uomini e le persone più adulte. Donne e giovani dichiarano in maggioranza di donare per favorire un cambiamento, uomini e baby boomers per coprire dei bisogni che altrimenti sarebbero scoperti, quindi per ragioni assistenziali. Qual è la ragione di questa disparità?
È un dato molto interessante. Può essere dovuto alla tendenza dei giovani e delle donne a vedere il dono come un’opportunità per contribuire in prima persona alla realizzazione di progetti e di iniziative sul territorio. Si tratta di un gesto di impegno civile e di cittadinanza attiva che faccio perché sono convinto che il mio contributo può essere veicolo di cambiamento, del fatto che sto partecipando a qualcosa di più grande di me, che avrà un impatto per tutta la comunità che mi sta attorno.
C’è una piccola flessione, quest’anno, rispetto alla quantità di donazioni.
Si dona un po’ meno, ma sostanzialmente è cambiato poco, perché osservando i trend, i numeri rimangono sempre più o meno costanti – attorno all’80 –, non c’è una flessione così forte. La cosa interessante è vedere lo spaccato generazionale: i giovani, cioè i millenials e la generazione Z, hanno mantenuto alte le donazioni. È calato invece un po’ l’ingaggio dei baby boomers e della generazione X.
Come mai?
In generale la flessione – da 84% a 80% come dato generale – può essere dovuta al tema della crisi globale e della guerra. Per quanto riguarda i giovani, torniamo al tema del desiderio di cambiamento che vediamo declinato in varie forme. Si continua a donare perché si ritiene che se io mi impegno donando in prima persona, posso contribuire con la mia parte. E vale pure per il volontariato: anche in questo ambito sono i giovani a tenere alti i numeri.
Questo confuta l’opinione comune che i ragazzi di oggi non abbiano voglia di impegnarsi in nulla.
In questi ultimi anni ci sono state diverse crisi che hanno messo sicuramente tutta la società – ma in particolare i giovani – di fronte a una domanda: cosa possiamo aspettarci dal futuro? Nel 2023, per esempio, c’è stato l’alluvione in Emilia-Romagna. Tanti ragazzi si sono attivati, hanno partecipato e hanno donato il loro tempo per ripulire e dare una mano. Io lo vedo come un nuovo modo di interpretare il volontariato, diverso dalla narrativa precedente, in cui è un’organizzazione che ti chiama e tu rispondi. Qua c’è proprio il desiderio di partecipare a un progetto o a un’iniziativa che ti dia soddisfazione e ti faccia sentire partecipe di un’azione concreta, che possa far la differenza e su cui anche tu hai voce, puoi fare proposte e sentirti coinvolto.
Tornando al dono, ormai i dati dicono che si dona prevalentemente online, in particolare nel report di quest’anno per la prima volta il mobile ha superato il desktop.
Il nostro è un osservatorio che va a intervistare gli italiani online, quindi non è rappresentativo di tutta la popolazione. Però è un dato di fatto che l’online sia diventato lo strumento più facile, immediato e veloce se vuoi ingaggiare e far donare le persone. Il dono digitale ha superato il contante: questo ovviamente è facilitato anche dal fatto che tutte le ricevute oggi per essere valide devono essere digitali.
La principale causa per cui si dona, invece, è la salute e la ricerca.
Questo trend è costante. La salute è stata sempre in prima linea. Anzi: quest’anno è calata di sei punti. In generale, la ricerca viene finanziata perché le persone vogliono essere coinvolte direttamente al sostegno di quelle cause che possono in qualche modo tutelare il benessere di tutti, anche il mio. Di fatto, alla base sicuramente c’è il ragionamento: «Può succedere anche a me, quindi voglio contribuire». Poi chiaramente ci sono persone che sono colpite in prima persona e quindi continuano a donare perché vogliono trovare una cura. Per questo non c’è solo la ricerca, ma anche l’appoggio a tutte quelle organizzazioni che offrono assistenza a chi è malato.
Il sostegno alla disabilità è aumentato di cinque punti: come lo legge?
Non abbiamo una spiegazione, ma solo ipotesi. È vero che è salito di cinque punti, dal 19 al 24%, però di fatto c’era stato un leggero calo l’anno scorso e una risalita quest’anno. È evidente, comunque, che c’è stato un lavoro di coinvolgimento della comunità a 360 gradi da parte delle organizzazioni che offrono questi servizi. Lo vedo anche nelle organizzazioni che raccolgono fondi sulla nostra piattaforma. Per esempio, c’è una realtà milanese che usa lo sport come veicolo di inclusione, offrendo anche alle persone disabili questa opportunità. Hanno fatto un grande lavoro di coinvolgimento della comunità: un bacino sempre più grande di persone, che non è strettamente collegato a chi dà servizi in questo campo o ha bisogno di questi servizi.
Qual è invece il ruolo degli influencer nel guidare le donazioni? Ci sono state delle ripercussioni legate alle vicende legali di Chiara Ferragni?
Quello che mi ha sbalordito è stato guardare lo spaccato generazionale: anche se nella popolazione generale la maggioranza non si fida degli influencer, c’è una percentuale importante di giovani che si affida alla loro opinione (il 10% donerebbe per una causa consigliata senza controllare, il 39% controllerebbe attentamente, il 51% non ritiene queste figure idonee a dare suggerimenti in questo senso, ndr). Questo per le organizzazioni è un dato su cui riflettere, perché è un veicolo importante. Riuscire ad avere una relazione anche con gli influencer può potenziare la visibilità di una causa per le nuove generazioni. Sicuramente il caso Ferragni non ha fatto bene: se tu al tuo interno non hai esperti competenti sul tema della raccolta fondi – come spesso accade negli ospedali – chiaramente sei un po’ in balia di ciò che succede e puoi trovarti in una brutta situazione senza volerlo.
La trasparenza è uno dei temi centrali per il dono, secondo il report.
Le organizzazioni producono sempre più strumenti che illustrano come investono i loro fondi. Il problema è come comunicano, perché non sono ancora riuscite a trovare una modalità efficace e coinvolgente. La maggior parte delle realtà fa il bilancio sociale, ma in pochi lo leggono: bisogna imparare a raccontarlo in una maniera semplice e diretta, alla portata del donatore, non alla portata di chi si occupa di amministrazione.
I dati dicono che le donazioni sono in leggera flessione, ma che sono aumentate le donazioni di importi più alti, superiori ai 50 euro. Questo può essere dovuto appunto alla fidelizzazione a una causa ben raccontata?
Secondo me chi ha una disponibilità economica più alta ha aumentato il suo contributo, mentre gli altri sono rimasti costanti o sono scesi. Chi ha di più dona di più perché si sente in dovere di dare un aiuto rispetto a tutte le crisi che stanno avvenendo nel mondo. Potrebbe essere anche una questione di fidelizzazione, che porta a credere di più a una buona causa per un tempo maggiore.
Un elemento tenuto fortemente in considerazione è la territorialità.
Sempre più persone vogliono contribuire o partecipare attivamente a tutte quelle iniziative che sono vicine a loro: di nuovo entra in gioco la prossimità. Vedere direttamente quello che viene fatto mi fa venir voglia di essere coinvolto. Essere presenti sul territorio con eventi e banchetti, mostrarsi, è considerato il miglior strumento di contatto. È qualcosa che si vede anche con i crowdfunding; ci deve essere una sinergia tra offline e online. La presenza fisica fa la differenza nella scelta dell’organizzazione e nella continuità della relazione.
In apertura, foto di Noorulabdeen Ahmad su Unsplash
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