Mobilità
I giovani si sposteranno in modo diverso, ma Stellantis e le altre big non l’hanno capito
Le case automobilistiche europee sono al centro di una crisi di sistema in cui l'automobile ha perso attrattiva e costa troppo. Strette tra la normativa Ue e la concorrenza cinese, Stellantis e le altre non hanno visto le opportunità della mobilità alternativa. Ne abbiamo parlato con Giulio Salvadori, direttore Osservatorio connected vehicle & mobility, Politecnico di Milano
di Alessio Nisi
Le dimissioni di Carlos Tavares da amministratore di Stellantis. E, in Germania, gli scioperi e le manifestazioni in dieci stabilimenti della Volkswagen, un segnale delle profonde difficoltà dell’azienda tedesca. No, non è solo la crisi di due big dell’automobile. A spingere verso il cambiamento, che è di tutto il sistema della mobilità, è una massa critica composta dalla spinta della transizione digitale e green, dalle regole imposte dall’Unione europea, dalla concorrenza cinese. E dall’orizzonte di una nuova mobilità: sharing, car pooling, trasporto pubblico. E sì, anche mobilità elettrica e perfino autonoma, su mezzi sempre più condivisi e meno di proprietà. Un’onda d’urto di innovazione, che si abbatterà su un intero comparto, che impiega 4 milioni di lavoratori e contribuisce per 460 miliardi al prodotto interno lordo dell’Europa.
Nel caos attuale della normativa e della concorrenza della Cina, Stellantis e gli altri produttori europei non hanno investito nella nuova mobilità, perdendo un’opportunità
Giulio Salvadori – direttore Osservatorio connected vehicle & mobility del Politecnico di Milano
Ne abbiamo parlato con Giulio Salvadori, direttore Osservatorio connected vehicle & mobility del Politecnico di Milano, tra i protagonisti del panel Come ci muoveremo?, in occasione della due giorni dedicata ai 30 anni di VITA.
Una crisi di settore
Quella di Stellantis, spiega, «non è soltanto una crisi di un gruppo importante ma è una crisi un po’ del settore e dell’idea stessa di mobilità». È chiaro che parliamo di un orizzonte di medio lungo periodo, ma non si può non tenere conto che c’è in atto «in parallelo, un cambiamento culturale, che ci sarebbe comunque stato anche senza l’arrivo dell’elettrico, e che oggi coinvolge soprattutto i giovani che abitano nelle medio grandi città».
Evidenze che «risultano da alcune recenti indagini che abbiamo fatto sul consumatore italiano e su altri consumatori europei», che dicono questo: sta perdendo valore attrattivo l’automobile come prodotto, come oggetto da possedere, «come brand» in favore dell’esplorazione di «altre soluzioni che vanno al trasporto pubblico tradizionale dal car sharing, al car pooling», dove il primo è una sorta di accesso a consumo ai veicoli, mentre il secondo mira a massimizzare la condivisione dei viaggi.
Costi più elevati
La spinta verso queste soluzioni viene soprattutto dalla necessità da parte dei consumatori, se non di abbattere, almeno di contenere i costi. «La trasformazione digitale e sostenibile», spiega Salvadori, ha imposto una serie di costi di adeguamento e di progettazione in termini anche di sicurezza che si sono riversati sul prezzo finale del mezzo.
In uno scenario dominato da inflazione e perdita di potere di acquisto, «il consumatore giovane, che ancora non ha una fascia di reddito “alto spendente” e chissà mai se ce l’avrà», o per convinzione o per scelta economica, alla fine va alla ricerca di soluzioni alternative di accesso alla mobilità. Soluzioni che sono state al centro del suo intervento al trentennale di VITA.
La guida autonoma e il futuro
«Quando si parla di guida autonoma», sottolinea, «uno degli ambiti d’uso più probabili in cui verrà applicata è quello proprio dello sharing. Come Politecnico stiamo facendo studi sul tema e sta emergendo come la guida autonoma sarà sostenibile grazie a forme di sharing». Per essere chiari, «le auto nuove non potranno essere acquistate a causa del costo elevato», ma saranno condivise.
Sui lavoratori il peso della transizione
In questo quadro di incertezza in cui sono entrate in crisi vecchie soluzioni di mobilità, senza che quelle nuove siano ancora a fuoco, a farne le spese saranno i lavoratori. «È questo il tema, almeno nel breve termine. Immagino che nel medio lungo periodo ci sarà una riallocazione dei posti di lavoro per governare i nuovi sistemi della mobilità».
Le maglie della norma 2035
Per Salvadori la crisi del settore automobilistico tradizionale legata in primo luogo alle maglie della norma che impone lo stop ai motori termici al 2035, una disposizione «giusta da un punto di vista ambientale, ma forse è un po’ sbagliata a livello di metodo», che prevede multe già dal 2025 e che a breve termine già impatta sulle case automobilistiche europee.
La concorrenza cinese
Strette tra la necessità di adeguarsi alla normativa e di stare sul mercato, le aziende del Vecchio continente hanno preso a soffrire la concorrenza delle auto cinesi, che «erano più pronte rispetto a quelle europee e americane ad abbracciare il mondo dell’elettrico, anche in ragione del costo della produzione», pari al 30% in meno rispetto a quello europeo, «come aveva sottolineato già Mario Draghi».
Nella foto La Presse: Carlos Tavares e John Elkann
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