Mondo
I giovani naufraghi hanno una voce
Il dossier “Giovani naufraghi” racconta storie di viaggi e di fughe via mare sulla base delle testimonianze raccolte a bordo. Delle loro stesse parole e silenzi. Sull’orlo spesso dell’indicibile. James, Esther, Sélim, Souleyman, Yasmine, Magdi, Youssouf, Abdo, Hamid e Yussif ci raccontano un’avventura che spesso ricorda l’Odissea. Prima di essere "migranti" sono soprattutto adolescenti con storie particolari, spesso molto difficili, dall’isolamento e dai pericoli del viaggio su rotte attraverso i deserti e poi il mare
Cosa hanno vissuto i minori che arrivano sulle nostre coste? A quali pericoli sono scampati, affrontandoli spesso da soli? Cosa li ha portati nel Mediterraneo centrale, sulla rotta migratoria più letale del mondo?
Quasi un quarto dei sopravvissuti soccorsi in mare dalle navi di Sos Mediterranee sono minori. Le navi Aquarius e Ocean Viking hanno salvato uomini, donne e bambini cercando anche di raccogliere le loro storie. Siamo testimoni del fatto che l’80% dei minori viaggia da solo, senza genitori o adulti di riferimento. Viaggi che durano mesi, a volte anni, scanditi spesso da detenzione, abusi e lavori forzati.
Il dossier “Giovani naufraghi” racconta storie di viaggi e di fughe via mare sulla base delle testimonianze raccolte a bordo. Delle loro stesse parole e silenzi. Sull’orlo spesso dell’indicibile. James, Esther, Sélim, Souleyman, Yasmine, Magdi, Youssouf, Abdo, Hamid e Yussif ci raccontano un’avventura che spesso ricorda l’Odissea. Prima di essere «migranti» sono soprattutto adolescenti con storie particolari, spesso molto difficili, dall’isolamento e dai pericoli del viaggio su rotte attraverso i deserti e poi il mare.
I racconti dei minori in viaggio violano spesso la logica di chi è radicato a terra. Partire è sempre un azzardo, un rischio calcolato e accettato che però non trova la comprensione di chi vive comode vite. Facile giudicare padri che espongono i figli al pericolo della traversata. Più difficile accettare e comprendere che chi nasce dalla sponda “sbagliata” del nostro mare è forgiato su forme, rischi e percezioni che poco hanno a che fare con il comune sentire. Un mondo parallelo in cui il buonsenso – spesso quello sventolato nei salotti della politica – fallisce perché inapplicabile.
Mali, Niger, Eritrea, Libia. Conflitti armati, povertà, violenze familiari. La Libia – che rimane sia una destinazione ch un importante centro di transito per migranti e rifugiati – è al cuore del racconto. Il conflitto armato, le crisi politiche e la pandemia rendono 1.2 milioni di persone dell’ex colonia italiana bisognose si urgente assistenza umanitaria. Secondo i dati dell’Unicef, ad agosto del 2020 c’erano quasi 47 mila bambini rifugiati in Libia, eccezionalmente vulnerabili a causa del loro status migratorio e della mancanza di accesso ai servizi sociali.
Numeri che rischiano di restare freddi, sterili, se non diamo un nome e dei volti. L’emergenza che quotidianamente vediamo consumarsi in mare ha un complice letale quanto la precarietà dei gommoni e la violenza del vento e delle onde. Il silenzio dell’opinione pubblica di fronte ai morti in mare aggiunge pericolo a quanto accade nel Mediterraneo. Sembra che l’Europa consideri la morte come il giusto prezzo da pagare per chi tenta di lasciare il continente africano. Come soccorritori, medici, infermieri e operatori umanitari questo è inaccettabile, facciamo di tutto per essere la sveglia che ci distoglie da un incubo collettivo.
Quelle storie devono essere lette. Da tutti. Sono le voci di chi cerca salvezza sulle coste europee, sono un vaccino che ci permette di vedere persone, ragazzi e ragazzi invece che leggere l’etichetta di migrante. I diritti umani fondamentali e i bisogni essenziali di questi giovani – particolarmente esposti a molteplici abusi durante il viaggio, la permanenza in Libia e la traversata del Mediterraneo – devono essere garantiti in ogni circostanza: il primo di questi è il diritto alla vita.
*Alessandro Porro Soccorritore e Presidente di SOSMEDITERRANEE Italia
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