Governo

I giovani genitori al centro del nuovo Piano per la famiglia

Il nuovo Piano triennale per la famiglia firmato dalla ministra Eugenia Roccella segna un cambio di passo rispetto al passato: sostegno alla natalità, introduzione del Family welfare manager, promozione dei Centri per la famiglia, accompagnamento ai primi mille giorni. Il commento della sociologa Chiara Saraceno e del presidente del Forum associazioni familiari Adriano Bordignon

di Daria Capitani

Si è concluso ieri, con l’intesa sancita dalla Conferenza unificata, l’iter di adozione del nuovo Piano nazionale per la famiglia che indirizzerà le azioni del Governo fino al 2027. La ministra Eugenia Roccella l’ha definito «un documento innovativo, fondato sul principio di sussidiarietà e orientato al potenziamento della rete dei Centri per la famiglia quali strutture capillari». Quel che è certo è il cambio di passo rispetto al precedente Piano, che poggiava sul Family Act, in buona parte archiviato dal Governo Meloni.

Le principali novità

Al centro del nuovo Piano c’è la promozione dei Centri per la famiglia come “hub di una nuova governance territoriale”: uno spazio gestionale e operativo su cui gravitano tutti gli interventi per il benessere dei nuclei familiari in uno specifico contesto geografico. Due nuove figure sosterranno questa rete: il Family Welfare Manager, con un ruolo di coordinamento nella gestione integrata delle politiche e dei servizi di welfare familiare, e una professionalità con competenza specifica per il supporto alla genitorialità nei primi mille giorni di vita del bambino, a partire dall’inizio della gravidanza.

Un ruolo di primo piano è occupato poi dal welfare aziendale “amico della famiglia”: catalogare e promuovere le buone pratiche, premiando le esperienze più virtuose rispetto alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, con un’attenzione particolare al rientro dal periodo di congedo parentale.

I concetti chiave che guidano il Piano della ministra Roccella sono il sostegno alla natalità e la discontinuità rispetto al passato. Abbiamo chiesto un commento alla sociologa Chiara Saraceno e al presidente del Forum Associazioni familiari Adriano Bordignon.

«Unidea di famiglia con figli piccoli»

La sociologa Chiara Saraceno pone l’accento sull’idea di famiglia a cui guarda il Piano: «Una famiglia con figli piccoli, ferma nel tempo e che non cresce mai. Eppure, nel nostro Paese le famiglie anziane esistono, con numeri in aumento, così come in aumento sono i bisogni legati alla non autosufficienza. E la fragilità? L’invecchiamento? La disabilità? Dove sono nel Piano?».

Chiara Saraceno all’apertura della quarta edizione di Proxima, il festival di Sinistra Italiana e Sinistra Ecologista che si è svolto a Torino lo scorso settembre (foto Giacomo Longo / LaPresse)

L’attenzione al welfare aziendale, la promozione delle esperienze virtuose realizzate dai Comuni e lo sviluppo di reti tra enti del Terzo settore vanno bene ma per Saraceno «andrebbero sostenuti da un maggiore investimento di responsabilità da parte del governo nella predisposizione dei servizi». Sui centri per famiglie, si chiede come verrà affrontato il gap tra le varie aree geografiche: «Oggi esistono differenze regionali significative». Il Family welfare manager? «È importante il compito di far funzionare le reti, ma vanno monitorate. Esistono? Come si realizzano?». Positivo l’accento sul sostegno alla genitorialità nei primi mille giorni di vita dei bambini: «È una fase di transizione delicata, che va accompagnata. Mi sembra una sperimentazione interessante, che richiede una formazione a tutto tondo per le figure professionali che se ne occuperanno».

«Meno vasto e ambizioso, più operativo»

Secondo il presidente del Forum Associazioni familiari Adriano Bordignon, chiamato a maggio 2023 dalla ministra Roccella come esperto all’interno del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, che ha elaborato il Piano, «questo Piano, per scelta meno vasto e ambizioso dei precedenti, ha il merito di contenere azioni immediatamente attivabili, monitorabili e poi verificabili. Con un profilo molto più operativo». E sulla discontinuità rispetto ai documenti precedenti sottolinea: «Ogni Piano nazionale per la famiglia ha avuto, nel corso degli anni, dei contenuti fortemente condivisibili da parte delle nostre associazioni. Tuttavia, la realtà dei fatti ci ha sempre inchiodato alla differenza tra il “disegno” e la sua operativizzazione. Il Piano precedente ha sofferto il fatto di essere stato approvato a chiusura di una legislatura, non trovando sbocchi che abbiano determinato un vero innalzamento della qualità della vita delle famiglie».

Il presidente del Forum Associazioni familiari Adriano Bordignon

Sugli operatori a supporto della famiglia nei primi mille giorni, ha anche lui un parere particolarmente positivo: «Tutti gli studi ci dicono che i primi mille giorni di vita del bambino, dal concepimento al secondo anno di vita, sono determinanti per la futura vita. Al contempo hanno impatti sostanziali sulla solidità dei legami interni a tutta la famiglia, tra la stessa coppia genitoriale e tra genitori e figli. Inoltre, orientano alla disponibilità di progettare anche una nuova gravidanza. È evidente, perciò, che il periodo prenatale e i primi anni di vita meritano più risorse professionali ed economiche nonché una maggiore diffusione e accessibilità ai servizi».

Il Family welfare manager risponde al criterio di «vedere la famiglia come qualcosa di unitario che va sostenuta nei meandri dei servizi: una sorta di case manager. I territori fanno fatica a ricondurre la molteplicità di servizi esistenti all’unitarietà dei bisogni familiari. Il Family welfare manager è chiamato a rendere più efficace l’operato di tutti i soggetti componenti le reti tenendo conto dei fabbisogni delle famiglie, delle risorse umane e finanziarie disponibili, del coinvolgimento degli attori del welfare societario locale».

Natalità e quel che resta ancora da fare

È al centro delle attenzioni di questo Governo, ma, spiega Bordignon, «la questione natalità trova in questo Piano solo una parziale risposta. Ci siamo confrontati spesso con la ministra, sottolineando come serva molto di più e sul fatto che sia necessario pensare di spostare risorse da altri settori perché il crollo demografico è oggi una priorità che sta segnando il destino del Paese. Le capacità di reazione di fronte a questa sfida si faranno sempre più flebili se non metteremo tutte le famiglie nelle condizioni di poter esercitare l’eventuale desiderio di avere un figlio in più».


La capillarità dei Centri per la famiglia può essere una chiave? «I Centri per la famiglia si posizionano in un’altra dimensione rispetto al rilancio della natalità», aggiunge il presidente del Forum delle Associazioni familiari. «Si tratta di offrire alle famiglie luoghi di relazione e di supporto primario nei loro percorsi di vita. Questa linea di azione ci trova particolarmente favorevoli perché intende promuovere un cambio di paradigma rispetto alla modalità classica di erogazione dei servizi all’interno dei Centri, superando la logica assistenziale e focalizzando gli stessi, piuttosto, sulla promozione del benessere familiare. L’obiettivo è quello di favorire il passaggio dalla logica della famiglia che fruisce dei servizi, a quella che contribuisce alla loro realizzazione».

Come ha sottolineato anche la sociologa Saraceno, la famiglia vive un presente caratterizzato da complessità, bisogni e fragilità che non possono essere attribuite a una singola causa: «La famiglia non è un semplice aggregato statistico. È un soggetto sociale che è titolare di diritti e di doveri che le sono propri. Le famiglie sono come degli organismi viventi e come tali necessitano di un ecosistema che quantomeno non le metta in perenne difficoltà e tutte concentrate sulla difensiva. Per permettere alle famiglie di vivere bene e offrire il meglio di sé è necessario, perciò, un ecosistema. Un ecosistema che oggi non c’è», continua Bordignon. «Serve una rivoluzione culturale, ma non fatta di vuote parole. Una rivoluzione prima di tutto da parte della politica e della Pubblica amministrazione. Abbiamo bisogno di una riforma fiscale che riconosca la dignità alle famiglie con figli, ma anche di trasformare l’Isee, che è profondamente ingiusta e scorretta. Organizzazione, remunerazioni, lavoro femminile e giovanile, welfare aziendale, sono capitoli da riformare profondamente se non si vuole “deteriorare” sempre più la qualità delle relazioni familiari e di accudimento. Poi ci sono i nodi della scuola, dell’inflazione e dei carrelli della spesa, dei costi dell’abitare. C’è tanto da fare, perché non esiste una politica “neutra” verso le famiglie».

La fotografia in apertura è di Hollie Santos su Unsplash

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