Cultura

I fondi da soli non risolvono la crisi alimentare

Intervista a Barbara Stocking, direttore di Oxfam Uk, impegnata nel vertice della Fao: «Serve anche la mobilitazione della gente comune»

di Carlotta Jesi

«Non solo fondi. Per risolvere la crisi alimentare in atto, serve un piano d?azione di lungo periodo condiviso da governi, comunità internazionale e società civile». Piano che, a un giorno dalla fine del summit Fao, inquieta Barbara Stocking, direttore di Oxfam Uk: «Sono preoccupata che il summit si chiuda senza un piano d?azione preciso anche se, qui a Roma, è tangibile l?impegno di tutti a risolvere l?emergenza e c?è accordo sulle vie da seguire». Quali per esempio? La necessità, fortemente sostenuta dall?ufficio campagne Ucodep-Oxfam, di garantire ai Paesi in via di sviluppo la libertà e il potere di decidere le loro politiche agricole ed alimentari. A parole, tutti concordano su questa necessità. Ma, in pratica, l?Organizzazione mondiale del commercio rende molto difficile garantire libertà d?azione ai Paesi in via di sviluppo. Nel 2005, con la campagna Make Poverty History, Oxfam coinvolse milioni di persone in quella che sembrava una sfida solo dell?Onu e dei governi: è possibile fare lo stesso oggi? Sì, è possibile. La gente normale può davvero cambiare le cose. Su questo concetto abbiamo puntato per rilanciare il brand di Oxfam, vecchio di 65 anni, con nuove campagne, spot e un nuovo slogan. Oggi diciamo alla gente: be umankind Una provocazione? Piuttosto un invito all?ottimismo. Le cose si possono cambiare, ma non da soli. Be umankind significa due cose: darsi da fare insieme ad altri, come essere umano tra gli esseri umani, e trattare bene, con sensibilità e rispetto, qualunque altro essere umano. Spot, campagne e slogan sembrano puntare dritto ai giovani.. Non solo ai giovani: uno studio sul nostro brand ha rivelato che la gente si fida molto di Oxfam, ma che, al tempo stesso, è disconessa dai suoi obiettivi e attività. Un segnale che ci ha portato a ritarare attività di campaigning e slogan perchè entrassero di più nella vita quotidiana dei nostri sostenitori, perchè parlassero il loro linguaggio e rispettassero i loro tempi di vita e di lavoro. Perchè rispondessero alle loro esigenze. State cambiato anche i charity shop, in boutiques che vendono anche capi di design. Per quale motivo? La concorrenza di altri negozi di abbigliamento: abbiamo migliorato qualità e varietà, mantenendo intatto il format che ha portato al successo i nostri charity shop: il feel good factor, il sentirsi bene per un oggeto o un abito che hai donato o acquistato. I prezzi delle boutique sono un po? più alti, ma comunque vantaggiosi rispetto ad altri negozi che vendono abiti di design. Qualcuno ha criticato questa scelta: c?è davvero bisogno di ?vendere? il volontariato e la sensibilità verso gli altri rendendoli un prodotto tra i prodotti? Non il volontariato, ma di sicuro l?idea che ?possiamo davvero fare la differenza nel mondo?.


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