Famiglia
I figli adottivi? Più felici di quelli biologici
I risultati a sorpresa dell'indagine di Cifa e Nova
Soddisfatti della loro vita e cittadini attivi. È il ritratto dei giovani adulti adottati, così come emerge dalla prima ricerca sui processi d’integrazione dei ragazzi accolti e cresciuti presso famiglie italiane, condotta da due tra i più storici enti autorizzati, Cifa e Nova. Un identikit della vita degli adottati che presenta due criticità: post adozione e scuola.
Con un bacino di oltre 3mila adottati dai primi anni 80 ad oggi, Nova e Cifa hanno offerto un campione particolarmente interessante per la ricerca «Adozione internazionale. Percorsi e processi di integrazione in Italia e in Piemonte», curata dall’università di Bologna in collaborazione con il Forum internazionale di ricerche sull’immigrazione. «È l’unica ricerca sociologica dedicata ai ragazzi adottati che sia stata messa a confronto con un “gruppo di controllo” di figli biologici di pari età e contesto socio-culturale», spiega Fiammetta Magugliani, presidente Nova. Il confronto offre un risultato sorprendente. «Che fa allargare il cuore», sottolinea Gianfranco Arnoletti, presidente del Cifa. I ragazzi adulti intervistati hanno in media 23 anni, la loro provenienza è in prevalenza dal Centro-Sud America, sono stati adottati da piccoli (meno di due anni) e oggi vivono in gran parte ancora a casa con i loro genitori. Il 71% di loro fa sport (contro il 41% dei figli biologici), il 39% frequenta associazioni di volontariato (contro il 31% del parametro), quasi il 43% (contro il 34%) si dice «orgoglioso» di essere italiano e il 53,8% si dichiara «molto soddisfatto» della sua vita attuale, rispetto al 28,9% degli altri ragazzi.
«Per quanto il campione sia limitato a un contesto socio-familiare molto attrezzato», dice la Magugliani, «mi pare di poter dire che questi ragazzi hanno raggiunto la consapevolezza di aver avuto una possibilità di vita diversa da quella che avrebbe potuto essere, e ciò forse li rende particolarmente sereni». Ma c’è un ma. «La scuola si mostra ancora impreparata ad accogliere questi ragazzi», riprende Arnoletti. I dati sugli obiettivi scolastici mostrano risultati poco brillanti: il 34% di loro, rispetto al 21% del parametro, ha dovuto ripetere uno o più anni di scuola. Eppure la scuola dovrebbe costituire «l’ambiente fondamentale per una piena e corretta integrazione del bambino adottato, nonché per la promozione e l’insegnamento di quei valori che consentono di accettare un mondo multiculturale», riflette Arnoletti. «Tali considerazioni hanno portato all’elaborazione di percorsi didattici che il Cifa implementerà in scuole del Piemonte, del Veneto, della Lombardia e delle Marche».
L’altro grande capitolo dell’adozione riguarda poi il livello di accompagnamento nel post. Prosegue la Magugliani: «Nell’indagine colpisce il senso di solitudine e di abbandono che vivono le famiglie adottive nel primo periodo. La metà degli intervistati avrebbe voluto più sostegno sia dai servizi territoriali che dall’ente di adozione».
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