Welfare

I domini delle reti

di Flaviano Zandonai

Le reti non muoiono mai. E neanche l’interesse a conoscerle e a costruirle. Rimango sempre sorpreso del fatto che, a distanza di tempo e con alle spalle qualche fallimento e molta fatica, ci sia ancora voglia di “fare rete”. D’altro canto le sollecitazioni non mancano. In campo non profit, ad esempio, permangono tensioni interne ai network originate da due fattori: il primo riguarda la delega alla rete di una molteplicità di compiti e di funzioni che rendono estremamente complesso individuare le priorità rispetto alle quali allocare le – sempre più scarse – risorse. Il secondo fattore riguarda invece il carattere pionieristico e sperimentalista associato alle reti che le pone in una non facile posizione: da una parte promuovere innovazione e dall’altra garantire un minimo di stabilità dei flussi di risorse. Esistono poi sollecitazioni esterne, alcune delle quali estremamente rilevanti. La rottura della sussidiarietà verticale nella Pubblica Amministrazione ha innescato un conflitto ai vari livelli che ha portato – o porterà – a una modifica dei confini amministrativi e funzionali di un interlocutore chiave per il non profit e che nel corso del tempo ha costituito un importante punto di riferimento rispetto al quale conformare le reti sociali (anche a rischio di colonizzazione). Ma anche i mutamenti profondi che hanno investito le reti dell’imprenditoria for profit hanno segnato un punto di non ritorno. I distretti industriali delle PMI che stanno pian piano rialzando la testa non sono certo quelli di epoca pre crisi.

Da dove ricominciare quindi? Reduce da un incontro, denso come spesso capita, con un manipolo di networkers provo a riassumere quanto emerso in forma di linee guida utili a riorganizzare e sfrondare la miriade di attività, iniziative, progetti, bandi, ecc. che si affastellano nelle reti. Sintetizzo quanto emerso prendendo a prestito alcuni domini internet che, come dice il termine, segmentano aree di significato all’interno delle quali è possibile collocare in modo mirato iniziative e investimenti.

No, non è .net, troppo facile! Inizio con .info, ovvero con la possibilità e insieme la necessità di costruire sistemi informativi di rete, capaci di moltiplicare il valore dell’informazione e della conoscenza prodotta. Con sano realismo si può guardare, da una parte, ai dati autoprodotti dalle diverse organizzazioni, facendo un pò di economia del dato e non mollando, per nessuna ragione, sulla continuità della rilevazione. Dall’altra è necessario considerare l’aumentata disponibilità, quasi eccessiva, di informazioni sui fenomeni socio economici rispetto ai quali agisce il non profit. Come usare ad esempio dei dati del nuovo rapporto BES Istat / Cnel? Occorre potenza di calcolo, ma soprattutto capacità intepretativa in modo da trarne materiale utile per svariate finalità: misurare e rendicontare le performance per tarare politiche di efficientamento, fare investimenti non come fosse una scommessa al buio, alimentare una visione condivisa del territorio in cui si opera. Altro dominio è .biz, ovvero azioni imprenditoriali che generano valore economico e sociale nella misura in cui sono realizzate in rete. Non il classico partnenariato per fare management di un progetto che deve “semplicemente” allocare risorse tra i vari workpackages, ma piuttosto generare un valore che nessun soggetto singolarmente sarebbe in grado di produrre. Valore condiviso insomma. Su questo versante le reti sono alle prese con un salto mortale che le porta da un ruolo di supporto tutto rivolto a servire i propri nodi, ad una funzione di access point a favore di soggetti diversi che dalla porta dell’agenzia di rete accedono a un sistema integrato di beni e di servizi delineando di fatto un modello di impresa sociale basato su una completa apertura dei processi produttivi. Infine, come poteva mancare, .edu ovvero l’elemento culturale delle reti. Un aspetto spesso sottovalutato a vantaggio di un approccio tecnicistico che considera norme, assetti giuridici, modelli gestionali. Tutti aspetti rilevanti naturalmente, ma insufficienti se non prende forma e si diffonde un’autentica cultura di rete che è specifica e irriducibile rispetto a quelle che alimentano i sistemi di regolazione dominanti: mercato e burocrazia. Peraltro proprio questo approccio culturale consente di cogliere elementi di apprendimento anche da campi apparentemente lontani dalle reti non profit: i distretti, ad esempio, ma come non citare il fenomeno delle community nei network del web. Lunga vita ai network dunque.

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