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I dividendi di pace sono svaniti, per l’Europa tutto da rifare. E in fretta
Che l'Ue sia fuori gioco in tempi di guerra è normale vista la sua attuale natura civile; che non si approfitti, però, della crisi ucraina per progettare o, almeno, rafforzare concretamente una politica comune di sicurezza e difesa degna di tal nome incentrata sul concetto di autonomia strategica sarebbe un'occasione sprecata in relazione al ruolo che l'Unione ambisce di giocare sulla scena internazionale
Abbiamo scommesso sulla distensione e la cooperazione economica come battistrada per il dialogo politico e la coesistenza pacifica, puntato tutto sull'intensificazione degli scambi commerciali per creare integrazione e complementarietà come garanzie di pace e strumenti di prevenzione dei conflitti salvo accorgerci drammaticamente che l'interdipendenza si è trasformata in dipendenza sfruttata dal partner come arma di ricatto per coprire un progetto di espansione neo-imperialista. Ora noi europei ci troviamo con un pugno di mosche in mano, obbligati a ridefinire in fretta e furia le relazioni con l'orso russo con l'incubo di una nuova guerra fredda dai contorni ancora indecifrabili.
È un brusco risveglio quello al quale ci troviamo di fronte. I dividendi di pace derivanti dal crollo del muro di Berlino e dalla, presunta o reale, dissoluzione dei blocchi sono svaniti in un attimo. Tutto da rifare. Il vecchio continente ha bisogno di una nuova impalcatura di sicurezza e occorre farlo in tempi rapidi. Che l'Ue sia fuori gioco in tempi di guerra è normale vista la sua attuale natura civile; che non si approfitti, però, della crisi ucraina per progettare o, almeno, rafforzare concretamente una politica comune di sicurezza e difesa degna di tal nome incentrata sul concetto di autonomia strategica sarebbe un'occasione sprecata in relazione al ruolo che l'Unione ambisce di giocare sulla scena internazionale. Qualcuno, Emmanuel Macron per esempio, ci sta provando ma le sue sembrano parole al vento. D'altronde basta guardare alle reazioni nei vari Paesi membri per capire quanto sia difficile il compito, a cominciare dall'Italia.
La percezione della Russia come minaccia di sicurezza è minoritaria nella nostra opinione pubblica dove prevale, purtroppo, una valutazione tutto sommato indulgente e apologetica del comportamento di Vladimir Putin. Non è così in Polonia o nelle Repubbliche Baltiche dove, a ragione, si guarda alla Russia con allarmata crescente preoccupazione. L'angolo prospettico di chi sente Putin affermare, come ha fatto nei giorni scorsi, che Mosca è impegnata nella difesa dei confini "storici" della Russia, quindi a discrezione del Cremlino, e non solo di quelli politici, è diverso da un punto all'altro del vecchio continente. Brividi nella schiena a Vilnius, Riga e Tallinn; indifferenza e supponenza nei confronti dei cittadini baltici a Roma. Nonostante ci si sforzi è arduo arrivare in Europa ad una sintesi fra storie, culture e sensibilità così differenti.
Risalta, a questo proposito, l'opinione ricorrente in Italia che quella in Ucraina non sia nient'altro che una guerra per procura pianificata da Washington per indebolire, se non annichilire, la Russia. Risalta, però, sui nostri media anche il silenzio sulla decisione della Corte Europea per i Diritti Umani che il 25 gennaio scorso, nella causa intentata da Olanda e Ucraina, ha stabilito che "…le zone dell'Ucraina orientale nelle mani dei separatisti erano dall'11 maggio 2014 fino ad almeno il 26 gennaio 2022 sotto la giurisdizione della Federazione russa". Il pronunciamento dei giudici di Strasburgo non fa che confermare quello che era il segreto di Pulcinella ovvero che le due autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk nel Donbass, nominalmente indipendenti, erano, in realtà, fantocci nelle mani della Russia anche se Mosca ha continuato a negare qualsiasi coinvolgimento diretto in Ucraina orientale fino al 24 febbraio 2022, giorno di inizio dell'invasione.
Nonostante i maldestri tentativi di troppi a casa nostra di legittimarla come guerra civile la vera guerra per procura, quindi, era quella mossa dal 2014 dalla Federazione russa all'Ucraina nel Donbass per impedire il processo di integrazione europea di Kiev, non quella di oggi. Ci sono due frasi che riassumono bene la crisi in corso. La prima, scontata nella sua ovvietà, e del segretario di stato americano Antony Blinken: "Se la Russia smette di combattere finisce la guerra, se l'Ucraina smette di combattere finisce l'Ucraina". L'altra, che circola nei Paesi nord-europei, è: "Putin si ferma quando qualcuno lo ferma".
È giusto discutere sul modo più efficace per contrastare e contenere Putin e se vale davvero la pena rischiare un conflitto nucleare. È sbagliato, tuttavia, non ritenere il regime di Putin una minaccia costante per l'Europa tutta, di cui anche l'Italia fa parte.
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