Formazione

I disabili? «A Chieri in classe non ci devono stare»

Polemiche dopo la dichiarazione dell'assessore Pellegrino

di Antonietta Nembri

Una classe “normale” non è il posto giusto per uno studente disabile. Il posto per il bambino con disabilità è una scuola speciale, anzi una comunità specializzata. Il concetto è stato espresso chiaramente da Giuseppe Pellegrino, assessore all’istruzione del comune di Chieri, 36mila abitanti nel torinese. E non le ha dette come battuta, magari di cattivo gusto, ma in un’occasione ufficiale: un consiglio comunale aperto.

Trentatrè anni dopo la legge 517/77 (quella che consentì l’accesso alle scuole elementari e medie inferiori degli allievi in situazione di handicap, prevedendo altresì la presenza di insegnanti di sostegno specializzati), c’è chi vuole far uscire i disabili dalle aule scolastiche. Perché? «Non possono fare nulla. E questi ragazzi con l’istruzione non hanno nulla a che fare», le parole sono dell’assessore Pellegrino. Le ha pronunciate durante un consiglio comunale aperto e le ha riportate il quotidiano torinese La Stampa. E dopo che le sue dichiarazioni hanno sollevato il polverone in paese e non solo, Pellegrino, avvocato civilista, console onorario della Repubblica Slovacca per Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, non si scompone arrivando a dire che «ho detto soltanto quello che pensano tutti: quei ragazzi a scuola disturbano».

Insomma per l’assessore all’Istruzione di Chieri i bambini e i ragazzi diversamente abili dovrebbero essere confinati in scuole speciali, istituti o meglio a sentire le sue dichiarazioni «comunità specializzate», perché la scuola pubblica per lui non è il luogo adeguato. Per un ragazzo che ha dei bisogni in più degli altri l’assessore di Chieri non vede altra soluzione che riattivare classi e scuole speciali perché, sono sempre parole dell’assessore Pellegrino «Ci sono ragazzi qui da noi, che passano la mattina a dare calci e pugni ad un muro. Disturbano e non imparano nulla».

Mai ufficialmente abolite le scuole speciali in Italia sono ancora presenti e pare stiano vivendo una nuova primavera. Complici i tagli subiti nelle ore e negli organici degli insegnanti di sostegno. Eppure non si cerca di migliorare un sistema che dagli anni Settanta è stato idealmente all’avanguardia, cercando di aggiustare quanto non funziona nell’integrazione scolastica dei portatori di handicap. Non si ragiona sul fatto che se un bambino passa «la mattina a dare calci e pugni ad un muro» forse la colpa non è del bambino o del muro, ma di chi dovrebbe mettergli accanto un insegnante che lo sostenga nel suo incontro con i compagni di classe e nello studio. Ma non lo fa.


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