Cultura

I diritti spettano solo a chi lavora?

L’idea affascina. Garantire un reddito minimo universale e consentire così a chiunque di affrontare l’esistenza un po’ più serenamente...

di Maurizio Regosa

L?idea affascina. Garantire un reddito minimo universale e consentire così a chiunque di affrontare l?esistenza un po? più serenamente. Senza i condizionamenti che tutti conosciamo e che sanno diventare talmente pesanti da levare il gusto e la pratica della cittadinanza. In più si toglierebbe quell?improprio legame che si è venuto a stabilire fra diritto e lavoro: si possiede il primo solo se si ha il secondo?

In questo volume di assai agile lettura, Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght, sulla base di un excursus storico-filosofico, affermano il contrario. Intanto si è titolari di diritti; poi si è potenziali lavoratori. E in quanto titolari di diritti si dovrebbe tutti, nessuno escluso, poter affrontare il mondo con una dote, «un reddito versato da una comunità politica a tutti i suoi membri, su base individuale, senza controllo delle risorse né esigenza di contropartite».

Ma attenzione, se la definizione è breve, lunghissimo è l?elenco delle conseguenze. Prendiamone una. Universalità significa che tale reddito dovrebbe essere distribuito a tutti, indipendentemente dalla situazione economica. E «senza esigenze di contropartite», ovvero – per parametrare il discorso alla prassi del sostegno di disoccupazione tipica dei Paesi del Nord Europa – senza l?obbligo di dover accettare un lavoro purché sia. Un obbligo che, secondo gli autori, restringe fortemente la possibilità di scelta dei cittadini, gravando la collettività di costi (spesso inosservati). Lotta alla disoccupazione ma anche alla povertà, sistema universalistico ed equo per riequilibrare le possibilità riattribuendo all?idea di cittadinanza un peso dimenticato. Sono molti gli interrogativi che questa ipotesi è destinata a sollevare. Relativi alla fattibilità economica, a come realizzare la distribuzione (avvalendosi magari di ricchezze della collettività), a come stabilire criteri di inclusione o di esclusione da tale reddito (che comunque sarebbe piuttosto contenuto: per la Francia i due autori pensano a una cifra tra i 300 e i 500 euro mensili).

Alcune osservazioni critiche sono espresse, con la consueta chiarezza e lucidità, da Chiara Saraceno nella sua Prefazione. Altri interrogativi sono esplicitati nel volume (quale possibile accoglienza da parte dei sindacati e dei partiti?). Altri ancora sono ignorati. Uno ad esempio: il comportamento sociale è assolutamente non prevedibile. Quale impatto potrebbe avere il reddito minimo universale in termini, ad esempio, motivazionali?

P. Van Parijs e Y. Vanderborght
Il reddito minimo universale
Università Bocconi Editore
pp. 160, 14 euro

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