Welfare
I detenuti di Padova scrivo a Conte e al presidente della Repubblica
Scrivono: Qui è in gioco la vita per questo serviva da subito, ma non è mai troppo tardi, un’attenzione più umana tanto nei confronti di noi 61.000 detenuti e delle nostre famiglie, quanto per le circa 45.000 persone, e relative famiglie, impegnate nella gestione delle 189 carceri
di Redazione
Sono preoccupati per il coronavirus e per l'emergenza del sovraffollamento nelle carceri italiane. Per questo chiedono aiuto al Papa, al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e al premier, Giuseppe Conte. Con una lunga lettera i detenuti della Casa di reclusione Due Palazzi di Padova spiegano le loro ragioni e lanciano un appello. Una richiesta a nome delle migliaia di persone che come loro scontano una pena in un istituto penitenziario in Italia.
Anche noi – scrivono – siamo molto preoccupati da questo coronavirus. Anche noi tra gli 'ultimi' della società siamo angosciati per i nostri cari che sono al di fuori di queste mura, come loro lo sono per noi. Le condizioni in cui ci troviamo a vivere sono difficili, in alcuni casi impossibili. Qualcuno potrebbe dire che nel Veneto tutto sommato la situazione non è delle peggiori (ma vi assicuriamo che è la guerra dei poveri), come pure qualcuno potrebbe dire che il carcere ce lo siamo meritato. Per la stragrande maggioranza è vero, ma ci siamo meritati una pena non una tortura. Ci dovrebbe essere tolta la libertà, non la dignità, il diritto alla salute, il diritto a vivere. Le restrizioni imposte le rispettiamo ma non le condividiamo del tutto. Ad esempio alcune misure attuate in virtù dell’emergenza, atte al contenimento del virus, come la sospensione dei colloqui con i famigliari, le attività dei volontari e delle associazioni, i permessi premio e le attività degli uffici di sorveglianza. Facciamo fatica,signor Presidente e sua Santità, a capire la bontà di queste scelte. Vorremmo si capisse la drammaticità di questa scelta per noi"
I detenuti della Casa di reclusione Due Palazzi di Padova ricordano l'importanza del lavoro per quei pochi, il 2% del totale, che lavorano e lo fanno ancora oggi. E, rivolgendosi al personale penitenziario chiedono unità. "Qui non vale più il gioco di guardie e ladri! Qui in gioco c’è la vita di ciascuno di noi. Il 'merito' che può avere questo 'maledetto virus' è da una parte quello, volenti o nolenti, di metterci tutti sullo stesso piano", spiegano.
"Ecco perché serviva da subito, ma non è mai troppo tardi, un’attenzione più umana tanto nei confronti di noi 61.000 detenuti e delle nostre famiglie, quanto per le circa 45.000 persone, e relative famiglie, impegnate nella gestione delle 189 carceri. Una più larga, completa, umana e professionale misura sarebbe stata certamente più efficace ma soprattutto compresa e ben accetta. Inutile ricordare che le condizioni carcerarie, il sovraffollamento e tutto ciò che ne concerne non permettono di rispettare anche le regole più basilari che ci vengono indicate dai mezzi di informazione a tutte le ore".
I detenuti si dicono inoltre preoccupati per la circolare che ha emesso il capo del Dap (il magistrato Francesco Basentini) in cui si chiede di "continuare a prestare servizio anche nel caso in cui abbia avuto contatti con persone contagiate o che si sospetti siano state contagiate", in quanto "operatori pubblici essenziali", e nell'ottica di "garantire nell'ambito del contesto emergenziale, l'operatività delle attività degli istituti penitenziari" e quindi di "salvaguardare l'ordine e la sicurezza pubblica collettiva".
In allegato la lettera dei detenuti
Nella foto il carcere Due Palazzi di Padova
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