Welfare

I designer alla sfida del non profit

I servizi di welfare vanno riorientati? Per farlo le onp si stanno rivolgendo a chi lo fa di professione. Se ne parla al workshop sull'impresa sociale di Riva del Garda al via domani

di Ottavia Spaggiari

Domani (il 18 e il 19 settembre) a Riva del Garda si terrà il workshop sull’impresa sociale 2014 dal titolo “Ridisegnare i servizi per aumentare l’impatto”. Giunto alla dodicesima edizione, raccoglie i massimi esperti dell’impresa sociale. Un settore che sta vivendo un’intensa stagione di rinnovamento per via della riforma e della trasformazione dei mercati. Una nuova grande trasformazione come la definisce Giancarlo Provasi, docente di sociologia dei processi economici all’università di Brescia, che apre l’evento. A guidarla contribuiranno i “designer dei servizi”, ai quali sono dedicati diversi approfondimenti nel corso del workshop.

Rendere i servizi più efficaci, progettando l’interazione tra chi li eroga e chi li riceve. È questo l’obiettivo del service design, tra gli strumenti più preziosi per chi si occupa di innovazione sociale. Figlio di una rivoluzione economica che, negli ultimi decenni, ha visto spostare il proprio baricentro dalla produzione di beni materiali, all’erogazione di servizi, se il service design ha acquisito sempre più importanza all’estero, rimane ancora poco conosciuto in Italia.

«Tra i primi ad aver applicato il design dei servizi sul mercato in modo strategico è stata Apple, con iTunes. Nel nostro Paese però, questa disciplina fa ancora fatica ad entrare in azienda, anche se gli imprenditori iniziano a capirne sempre più il valore», spiega Daniela Selloni, service designer e ricercatrice al Politecnico di Milano.

«Dopotutto, anche se non ne siamo consapevoli, la progettazione dell’interazione si trova alla base di moltissimi servizi che usiamo quotidianamente, uno tra tutti è il bancomat». A confermare l’importanza del design dei servizi come perno di innovazione e crescita anche una ricerca del Design Council di Londra, secondo cui se un’impresa investe un euro in attività di design, aumenta il fatturato di 20 euro e il profitto di quattro.

Ed è proprio in azienda che questa disciplina ha visto i suoi albori. Nato negli anni ottanta come branca del marketing e del management, è negli anni novanta che il service design raggiunge un pieno riconoscimento, anche a livello accademico.

In Italia questa tradizione incomincia a intrecciarsi con quella del Terzo settore. «Il design dei servizi ha rappresentato l’espressione di un vero e proprio cambio di paradigma», racconta Selloni. «Dal prodotto, l’attenzione si sposta sulla funzione che dovrebbe svolgere, legandosi quindi al concetto di riduzione dell’impatto e di economia sostenibile. Dal possesso ci si concentra sempre più sull’accesso». Un cambio di prospettiva emerso anni fa ma che oggi è diventato clamorosamente attuale, se si pensa che è proprio questo uno dei principi guida della sharing economy.

«Il digitale ha facilitato enormemente l’accesso ai servizi, rendendo sempre più importante la figura del service designer. In realtà però il primo esperimento di carsharing è nato negli anni ottanta, solo che per organizzare i passaggi si usavano enormi fogli excel. L’avvento del web ha permesso ai servizi di crescere, dando sempre più potere di azione all’utente e permettendogli di collaborare con gli altri».

Sono proprio i servizi collaborativi ad offrire alcuni degli esempi di maggior successo di service design. Tra tutti BlaBlaCar, il servizio di ridesharing che permette agli utenti di condividere lunghi tragitti in macchina, dividendo le spese, e AirBnb, che consente a chiunque di affittare la propria casa.

In Gran Bretagna tra i più riusciti esempi di service design applicati al sociale c’è Circle, il sistema di supporto locale che permette alle persone anziane di entrare in contatto e offrirsi aiuto a vicenda. «Stiamo andando sempre di più verso un sistema di welfare relazionale», aggiunge Selloni. «I rapporti non si possono progettare, ma le condizioni in cui le persone interagiscono sì», e qui entra in gioco il design dei servizi, applicato ai servizi socio-assistenziali e più in generale al non profit.

Se il service designer lavora bene infatti può influenzare anche le relazioni. Con i suoi 5mila iscritti, Circle sembra esserne la prova. «La crisi economica e del welfare hanno evidenziato la necessità di rendere i servizi più efficaci:», ragiona Selloni, «il pubblico non può più farsi carico dei servizi che copriva prima ma i cittadini sono sempre più attivi, hanno iniziato a risolversi i problemi da soli e a lanciare anche iniziative imprenditoriali con forte impatto sociale. Questo secondo welfare non si può sostituire a quello primario ma il sistema va ripensato e il service design può aiutarci a farlo».

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.