Cultura
I conti in tasca allanno che va.
Il 2004 passerà alla storia per la bomba Parmalat. Ma tra tante notizie inquietanti cè anche un numero che fa sperare: è il boom degli asset dei fondi etici italiani.
Dodici mesi durante i quali l?etica in economia l?ha fatta da padrona. Sicuramente a parole. Un po? meno nei fatti. In cui, comunque, è entrata a pieno titolo e in modo serio nel dibattito economico e in alcune pratiche aziendali. Merito (si fa per dire) del crack Parmalat che ha aperto a tutti gli occhi sui danni che può causare al sistema economico quella che il presidente della Consob, Lamberto Cardia ha definito «mancanza di ethos».
Il 2004 è trascorso così, tra alti e bassi, tra buoni propositi mai realizzati (vedi il disegno di legge sul risparmio che da un anno langue in Parlamento) ma anche belle sorprese come la rimonta straordinaria dei fondi etici italiani che oggi, seppur a una distanza pressoché incolmabile, contendono al Regno Unito il primato del socially responsible investing in Europa.
L?anno dei grandi gesti
È stato anche l?anno dei ?grands gestes?, come il recente addio al vertice di Nokia di Sara Baldauf perché ha deciso di dar vita a una charity e dedicarsi a tempo pieno alla solidarietà, oppure di Bill Gates che ha devoluto interamente la sua ?impronunciabile? quota di dividendi (3,3 miliardi di dollari) alla fondazione che porta il nome di sua moglie Melinda e suo e che finanzia programmi sanitari nel mondo. O ancora, per rimanere in casa nostra, dell?apertura a Milano, grazie al lascito testamentario alla diocesi (70 miliardi di vecchie lire) dell?imprenditore Angelo Abriani, della Casa della carità, diretta da don Colmegna, che accoglie 120 persone in difficoltà.
Una valanga di numeri
Ma è stato soprattutto l?anno dei numeri che, finalmente, cominciano a offrire un ordine di grandezza quantitativo alla responsabilità sociale d?impresa: SWG ed Errepi-comunicazione hanno rilevato, per esempio, che il 73% delle aziende italiane finanziano almeno un progetto di carattere sociale. L?Istat, attraverso un?indagine sperimentale, ha identificato il profilo tipico dell?impresa italiana socialmente responsabile: ha una dimensione medio-grande con almeno 100 addetti, si trova soprattutto nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno, è attiva prevalentemente nei settori farmaceutico e fabbricazione di prodotti chimici, materie plastiche, minerali non metalliferi. L?università Bocconi, attraverso un sofisticato algoritmo, ha dimostrato come la corporate social responsibility riesca a influenzare in modo significativo le performance di Borsa delle società americane.
Adesso però si apre una nuova fase. Proprio perché l?etica ha fatto piena irruzione nella vita d?impresa, non si può più tornare indietro. Bisogna capirne di più. Per esempio Geox, azienda da poco quotata con successo in Borsa, ha un comitato etico ma lavora all?80% in outsourcing (con produttori cinesi, indonesiani, vietnamiti) e produce direttamente solo in due stabilimenti, peraltro collocati in Slovacchia e Romania. Come si concilia la delocalizzazione produttiva con la responsabilità sociale nei confronti del territorio?
Questioni aperte
Altra questione aperta: si è appena conclusa la missione in Cina di duecento capitani d?industria italiani, tutti hanno insistito sul fatto che bisogna recuperare il tempo perduto e investirvi massicciamente. Ma il tema dei diritti umani rimane un tasto dolente. Infatti, proprio mentre a Shangai si concludeva la missione del presidente della Repubblica, Ciampi veniva inspiegabilmente annullato a Pechino un convegno internazionale sui diritti dei lavoratori organizzato dall?Ocse, l?organizzazione internazionale che riunisce i trenta maggiori Paesi industrializzati. Come possono andare d?accordo l?attenzione alla corporate social responsibility più volte dichiarata dagli industriali italiani con il tema dei diritti umani?
Subito dopo l?esplosione del caso Parmalat, Marco Vitale in un?intervista ad E&F affermò che l?etica non è una ricetta ma una ricerca. In tempo di bilanci di fine anno è bene non dimenticarlo. Auguri.
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