Non profit
I commenti dopo l’attentato di Herat
Dal cordoglio alla richiesta di “ridiscutere” la presenza italiana
di Redazione
Ignazio La Russa, ministro della Difesa
«Oggi abbiamo ritenuto e continuiamo a ritenere che il rischio sia connesso all’importanza della missione»
Franco Narducci, vicepresidente della commissione Esteri e presidente l’Unione nazionale associazioni immigrati e emigrati
«E’ necessario che l’azione sul campo volta alla pacificazione e alla consequenziale sconfitta del
terrorismo, che da quell’area minaccia il mondo intero, sia affiancata da una più intensa azione diplomatica tesa ad isolare definitivamente le forze destabilizzanti e tutti i collegamenti che le alimentano»
Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione
«Al di là della perdita di vite umane che fanno spaccare il cuore, bisogna verificare se i sacrifici servono. Abbiamo espresso perplessità sull’esportazione della democrazia, ma ogni decisione non può essere unilaterale».
Antonio Di Pietro, leader Idv
« Non e’ questo il momento per ribadire la necessita’ di porre fine alla nostra presenza in quei territori. Oggi è il giorno del dolore e della solidarieta’, ma occorre che al piu’ presto il Parlamento affronti seriamente la questione della rischiosa presenza dei nostri militari, coinvolti non in una missione ma in una guerra, e proponga una exit strategy»
Oliviero Diliberto, segretario del Partito dei Comunicati italiani
«La via politica e’ l’unica soluzione per uscire da una guerra persa già da tempo. Un Paese che si rispetti non puo’ accettare che i suoi figli continuino a morire per una causa assurda. Il Governo deve ritirare le truppe. E lo deve fare chiedendo scusa all’intero Paese per aver mascherato per missione di pace una sporca guerra».
Enrico Rossi, presidente Regione Toscana
«Questo è il momento del dolore per i due giovani soldati uccisi, e tuttavia è impossibile non ricordare tutti gli altri morti della nostra missione in Afghanistan. Che sono stati già troppi e ci impongono un profondo ripensamento del senso della nostra missione militare. I soldati non hanno la delega a morire per noi. Quando uno di loro muore a essere sconfitta è la politica che non ha saputo proteggere la sua vita. La guerra in questo paese dura ormai da quasi nove anni, senza che si sia stati capaci di realizzare un vero cammino d i riconciliazione e di pace per questo popolo, ostaggio di una violenza apparentemente senza fine. L’Italia può e deve avviare, assieme alla coalizione, una riflessione coraggiosa sulla strategia di uscita. Non si tratta di abbandonare questo paese, ma di abbandonare una guerra cambiando il passo della nostra politica. I nostri soldati ci chiedono questo»
Roberto Formigoni, Presidente Regione Lombardia
«È il solito riflesso condizionato. Umanamente comprensibile ma non va politicizzato. In altri termini – ha spiegato il presidente della Regione Lombardia – la nostra partecipazione in Afghanistan è tesa allo stabilimento della democrazia, alla pace e alla lotta al terrorismo. Il sentimento primo quindi è sì di grande dolore, ma in politica deve prevalere la consapevolezza per questi obiettivi».
Donato Capece, presidente della Consulta Sicurezza costituita dal Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, dal Sap, sindacato autonomo polizia di Stato, e dal Sapaf, sindacato autonomo del corpo forestale
«Ancora una volta le nostre Forze Armate hanno prestato il proprio servizio ed alcuni militari hanno sacrificato la vita in nome di alti ideali come la pace, la democrazia e la libertà. Ad essi, in questo tragico giorno di lutto, va il pensiero di tutta la Consulta Sicurezza”.
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