Non profit
i cocci di rifondazione
opposizione La sinistra alternativa va a congresso. Più divisa che mai
di Redazione

C’era una volta Rifondazione comunista. Trattavasi di partito un po’ retrò (specie nella sua componente cossuttiana o ex cossuttiana), un po’ velleitario (nella sua componente ex gruppettara), un po’ piagnone e straccione (in generale). Però trattavasi anche di partito fiero della sua storia, povero nei mezzi ma ricco di idee (l’altermondialismo da contrapporre alla globalizzazione, le due sinistre che dovevano combattere le due destre, le ricerche e l’inchiesta sulle condizioni di vita degli operai come dei lavoratori dell’immaginario, da unire contro i grandi potentati e le grandi lobby), fiero della sua alterità dai giochetti di Palazzo al punto da cercare di far cadere un governo nel 95 (quello Dini) e di farne cadere uno per davvero nel 98 (quello Prodi) ma anche generoso nelle lotte.
Da quelle a favore dei migranti, dei rom, degli apolidi e di ogni razza, etnia o religione minoritaria a quelle – ben più note – che hanno portato il Prc in piazza (e in prima fila) ogni volta che c’era da protestare e rivendicare dignità offese, diritti conculcati, democrazia a rischio (dalla Pantera nel 91 fino a Genova 2001, dalla difesa della Costituzione all’ambiente, dai cococo ai morti sul lavoro).
Bene, dimenticatevi tutto questo. Dopo una deludente e sofferta esperienza di governo, quella del Prodi bis, e una pesante, pesantissima, sconfitta elettorale, del Prc sono rimasti solo i cocci. E si fanno del male. Caduto il governo Prodi, archiviata (frettolosamente) l’esperienza della Sinistra Arcobaleno – e cioè la sommatoria, niente più che un accordicchio elettorale, tra Prc, Verdi, Pdci e Sd – Rifondazione è esplosa. O, meglio, è implosa.
L’ex-ex segretario (ed ex presidente della Camera) Fausto Bertinotti s’è praticamente ritirato a vita privata, limitandosi a continuare a ragionare sulle “ragioni” della sconfitta con la sua rivista, Alternative per il socialismo. Il segretario Franco Giordano si è dimesso e, anche se appoggia la candidatura del governatore della Puglia, Nichi Vendola a segretario, non avrà più ruoli di primo piano. I due ex capogruppi di Camera e Senato, entrambi napoletani, Gennaro Migliore (a lungo amato “delfino” di Bertinotti) e Giovanni Russo Spena, fine giurista, si sono equamente divisi, nella battaglia in corso, appoggiando il primo Vendola e il secondo Ferrero.
Paolo Ferrero, già ministro alla Solidarietà sociale e noto ai lettori di Vita per le molte idee giuste tentate e le (tante) occasioni perse, per ridare slancio al mondo del non profit e del terzo settore, ha abbandonato la (ex, tanto per cambiare) area bertinottiana del precedente congresso (il VI, che si tenne nel 2005 a Venezia, passato alle cronache come quello dell’apertura ai “movimenti”) per allearsi con una delle principali minoranze interne (Essere comunisti, guidata da Claudio Grassi) e tentare la “scalata al cielo”. E cioè per muovere guerra (civile) ai bertinottiani rimasti fedeli al loro leader e che si sono raccolti dietro le bandiere dell’attuale governatore della Puglia, Nichi Vendola.
Lo scontro precongressuale e congressuale tra le due mozioni (ne sono state presentate altre tre, ma numericamente prenderanno solo briciole) è stato di proporzioni inaudite. Tali da stupire e lasciare interdetti molti osservatori esterni ma simpatizzanti (da Rossana Rossanda a Marco Revelli, da Pietro Ingrao a Gianni Rinaldini, dal quotidiano comunista il manifesto al settimanale Carta) e da far scrivere, a molti giornalisti (disincantati e non) che «Rifondazione è messa peggio dell’Udeur».
In effetti, lo spettacolo è davvero brutto a vedersi. I “vendoliani” accusano i “ferrerian-grassiani” di chiedere «l’esame del sangue« ai nuovi tesserati e di andare avanti a colpi di annullamenti di congressi locali. I secondi puntano il dito contro i primi, parlando di «violazione della legalità», «tesseramenti gonfiati», «pratiche clientelari» e, persino, «casi di voto di scambio», specie al Sud.
Quanto alla politica vera, resta ben poco da dire. La mozione 2 (primo firmatario Nichi Vendola) punta alla nascita di una «Costituente della sinistra» e a una «sinistra larga e diffusa, non partitica», anche se, nei fatti, si trova a dialogare con l’ala dalemiana del Pd, con Sd di Claudio Fava e i Verdi. La mozione 1 (primo firmatario Maurizio Acerbo, poi Ferrero, Grassi, Russo Spena, Mantovani) vorrebbe «salvare il partito», si rifiuta di certo di “svenderlo” al miglior offerente, specie se del Pd, propone il “modello Flm” (cioè l’unità dal basso, sul modello del sindacato, correvano gli anni 70) e vuole “ripartire dal sociale”, oltre che salvaguardare identità e ragione sociale, come dice Ferrero.
Le altre tre mozioni rappresentano o variazioni sul tema (la numero 3 punta all’unità dei comunisti) o residui storici (la numero 4, trotzkista) o pie illusioni (la numero 5 vorrebbe il “disarmo” interno). Chi vincerà? Vendola ha la maggioranza relativa dei congressi di circolo e di federazione (47-48%), ma soprattutto il favore dei – pochi – media che ancora s’interessano dei destini di Rifondazione; Ferrero e i suoi raccoglieranno una percentuale più bassa (42-43%) ma meglio diffusa sul territorio (la mozione 1 vince in tutto il Centro-Nord, perde solo al Sud) e ideologicamente più definita, anche se più frastagliata, per alcune differenze interne.
L’ottavo congresso, quello che si tiene a Chianciano Terme dal 24 al 27 luglio, sarà decisivo. Forse, a causa di possibili scontri, liti e inevitabili scissioni (il Prc ne ha già subite sei, nella sua non breve storia, essendo nato dalle ceneri del Pci, nel lontano 1991), anche per la sua esistenza. Per le sorti della sinistra in quanto tale conviene, invece, bussare altrove.
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